I
DGM non sono più quelli di cui mi ero artisticamente “innamorato” nel 1996, con quel mini-Cd intitolato “Random access zone”, forgiato dalla voce del veterano del prog italico settantiano Luciano Regoli. Di quella formazione, a livello di personale esecutivo, non rimane nulla (se non la presenza in veste di special guest del chitarrista fondatore Diego Reali), eppure il “sentimento” è sempre solido e tirannico, nonostante il trascorrere del tempo e i cambiamenti occorsi nelle nostre rispettive personalità.
Da una parte il sottoscritto ha un po’ diradato le sue frequentazioni nell’ambito prog-metal tout court, deluso da troppi manifestazioni tecnicamente virtuosistiche, eppure anche stantie e tediose, dall’altra la band capitolina è negli anni diventata una vera autorità del settore, acquisendo grande maturità e sicurezza, pur dovendo rassegnarsi alla continua comparazione (per quanto magari pure gratificante!) con le celebrità internazionali del settore, nei confronti delle quali, come accade spesso ai gruppi di casa nostra, una certa forma di “sudditanza” artistica sembra inevitabile, di là dei meriti effettivi.
Insomma, i DGM sono divenuti un’entità ammirata da ogni prog-metal fan che si rispetti, ma forse è ora di sottolineare con forza che i nostri sono stati e sono tutt’ora tra i pochi frequentatori del genere a non subordinare mai la “poesia” al potere della “filosofia” e che è questo l’elemento chiave della loro prestazione mai inadeguata, il denominatore comune della loro evoluzione stilistica, il valore aggiunto ad un’imperativa ineccepibilità tecnica, il coefficiente che dovrebbe garantire un’affermazione incondizionata, non sminuita in nessun modo dall’origine geografica.
Detto questo, arriviamo a “Frame”, un lavoro che ancora una volta rispetta l’illuminato trademark e appare moderno, potente, ricco di nuance e molteplicità emozionali, un risultato a cui il nuovo singer Mark Basile (B.R.A.K.E., Mind Key) contribuisce in maniera sostanziale, grazie ad una duttilità e una proprietà vocale veramente inattaccabili, anche dal più acceso sostenitore del pur ottimo predecessore Titta Tani.
Power-prog sinfonico (“Enhancement”), sfumato con lampi d’estrazione epic (“Trapped...”, “...In a movie”), armonizzazioni hard-rock (“Not in need”), melodie accattivanti stemperate nella “fisicità” (“No looking back”) o in piccoli modernismi elettronici (“Heartache”), strutture di vaga natura thrash (“Brand new blood”) e momenti di pura intensità melodrammatica (la splendida “Fading & falling”), è quanto troverete nei quarantanove minuti d’appagante durata del dischetto, a dimostrazione che i DGM hanno ancora una volta superato loro stessi, con disciplina e voglia di rinnovamento, intensità espressiva e perizia esecutiva, potendo contare su una produzione esplosiva ed equilibrata.
Il gap con Dream Theater e Symphony X è oggi, forse come non mai, se non addirittura completamente azzerato, davvero “pericolosamente” molto esiguo … e chissà che i tempi non siano pressoché maturi per un ribaltamento “epocale”, in cui un loro nuovo album potrà essere annunciato come “
a real MUST for fans of DGM” …