“Deconstructive” è un disco di prog-metal, di quelli che, però, non si accontentano di finire per essere uniformati ai tanti prodotti frutto di un’appariscente emulazione dei soliti maestri incontrastati del settore.
Quello che pare interessare gli
Ashent è, infatti, la ricerca di una propria strada, contaminando le linee fondamentali di quel suono con piccole suggestioni di varia natura, andando dal power al thrash e approdando ad alcune soluzioni musicali affini al death melodico.
Questa voglia di “novità” e la necessità di distinzione, denotano una certa personalità ed intelligenza e sono sicuramente motivo di plauso ed approvazione, anche se è mia opinione che l’aspirazione di creare un incrocio che riesca ad essere sufficientemente personale, ma anche assolutamente intelligibile, coeso e consistente, sia rimasta, per il momento, una faccenda legata parzialmente alle più “nobili” delle intenzioni, non riuscendo a realizzarsi appieno.
Cercherò di spiegarmi meglio. Il gruppo veneto, forte di una preparazione specifica davvero invidiabile, risulta alquanto abile nella trattazione della materia base, dimostrando di essere in grado di offrire suggestioni ed emozioni in gran quantità a chi apprezza architetture sonore elaborate e piuttosto intricate, senza perdere d’occhio nello stesso tempo il valore imprescindibile della melodia, mentre mi sembra leggermente meno ispirato nel lavoro d’armonizzazione del songwriting in ottica d’ibridazione tra generi, soprattutto quando si tratta di gestire il versante “estremo”, relegando, ad esempio, l’uso sporadico del growling ad una presenza abbastanza aliena e improduttiva nel contesto generale delle composizioni.
L’impressione è, dunque, che il processo evolutivo della band necessiti di ancora un po’ di lavoro per esprimere compiutamente tutto il suo potenziale e ricordando che “Deconstructive” è solamente la sua seconda testimonianza discografica ufficiale, non si può che confidare abbondantemente sul raggiungimento di una futura compiutezza in tale attività.
Nell’attesa, non ci resta che godere, in ogni caso, di questo piacevole flusso di note estrose, volubili e vorticose, riprodotte con notevole naturalezza e passione da eccellenti musicisti e da un cantante, per quanto dotato di un timbro non particolarmente originale, sempre all’altezza d’ogni situazione tecnico-interpretativa.
Tra i brani più significativi, “Imperfect”, “The resonance of life”, “How could it feel like this?” e “Starlinked innerness”, caratterizzata da un gradevole tocco epico-sinfonico.
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