Gli
Empty Tremor del 2010 sono un’altra band rispetto a quelli che ci avevano salutato, nel 2004, con l’album “
The Alien Inside”. Le già notevoli potenzialità dei vari strumentisti esplodono in tutto il loro splendore in questo “
Iridium”, a mio avviso il più bel capitolo della storia della band romagnola. E di certo, sul mio giudizio, influisce non poco il ritorno nei ranghi di
Giò De Luigi, singer dalla voce delicata e multi sfaccettata, dallo stile poco aggressivo ma dotato di un’estensione e di una duttilità invidiabili.
Quel che ne viene fuori è un album prog-metal di pregevole fattura, in cui la parolina “prog” deve necessariamente andare davanti a “metal”: qui più che alle chitarrone si bada alla classe e al lavoro di cesello, che rendono i nove brani dell’album delle piccole gemme.
Si parte benissimo, con “
Breaking the Mirror”, che fin da subito prepara un’atmosfera elegante, in cui la band offre una prestazione maiuscola, seguita a ruota dalla potente “
Run”. Uno dei capolavori dell’album è la traccia n°3, “
Warm Embrace”, un’altalena in musica degna dei migliori Shadow Gallery, in cui nessuno spicca e tutti spiccano, in un perfetto equilibrio (complice l’ottimo mixing e mastering) che lascia godere appieno delle doti dei 6 musicisti. “
Friends in Progression” ci offre il lato più intimista di Giò, che dà un’anima ad una bella song, melodica e morbida. Il momento più dreamtheateriano di “Iridium” è “
Autumn leaves”, che si alterna tra parti dispari e piccoli, ma deliziosi, colpi da maestro sparsi qua e là per la traccia. Importantissimo, in questo album l’apporto delle tastiere di
Marco Scott Gilardi, che non fa rimpiangere il “fuoriuscito” Daniele Liverani: ascoltare per credere l’intro di “
Unconditional Love”, in punta di pianoforte e voce, semplicemente da brividi. Un brano che, peraltro, ci regala una sezione potente e prog-metal come tutti gli amanti del genere desiderano. Il secondo momento delicato è “
Everyday”, in cui le chitarre acustiche conducono per mano, e dove la voce di Giò, ancora lui, si esprime in tutta la sua bellezza. Pregevolissimo il solo, piazzato in mezzo alla song, che, come tutti gli altri assoli del disco, non sacrifica la melodia sull’altare della mera tecnica, ma ci sazia di entrambi con una naturalezza che è propria dei grandi. “
The last day on Earth” è l’altra song prettamente metal-prog, con dei gran cori ad accompagnare una struttura-canzone complicata ma non per questo meno fruibile degli altri brani, forse l’altro highlight dell’album. Chiude le danze la title-track, splendido brano in cui la melodia delle linee vocali raggiunge l’apice, in un momento compositivo baciato dalle Muse.
Un album complesso, elegante e variegato, che non ha davvero punti deboli, anche sulla lunga distanza. Complimenti vivissimi agli Empty Tremor, che tornano in pompa magna, reclamando un posto nell’olimpo dei grandi del prog-metal. Tanto di cappello.