Tornano gli
Alter Bridge, dopo il bel "Blackbird" di qualche anno fa, e dopo le voci di una possibile separazione definitiva (causa reunion dei Creed), che avevano gettato nello sconforto tanti fans. Ed invece, Myles Kennedy e soci sono qui con un disco ben fatto, che ha forse come unico difetto quello di essere eccessivamente prolisso. Sì, perché c’è una bella differenza tra fare un album di 14 canzoni, con 5-6 filler, e fare un capolavoro di 9 tracce, ma sinceramente non capirò mai certe mosse, d’altronde quelli che a me sembrano filler magari per la band sono perle, ovvio…
Comunque sia, “
AB III” non sposta di una virgola (per fortuna) il discorso sonoro della band, per cui i fans sono al sicuro, il disco spinge come non mai, Myles continua a splendere di luce propria, dotato com’è di una delle voci più interessanti dell’ultimo decennio, e alle sue spalle Mark Tremonti macina riffs ed assoli, sostenuto da una sezione ritmica con i contro cosiddetti. Bella la partenza, con “
Slip to the Void” e soprattutto il primo singolo, “
Isolation”, a farla da padroni, con il loro riffing ipnotico ed una melodia azzeccata, penetrante e piacevole. Ma, per la verità, il livello dell’intero dischetto è alto, con qualche caduta in brani non proprio imprescindibili (“
Ghost of Days gone by”, “
Still Remains”, “
Coeur D’Alene”). Adoro quando i ragazzi sanno lasciar respirare i brani, come in “
Wonderful life”, ballad da applausi, o nell’altro lentone “
Life must go on”.
Tirando le somme, un altro bel disco da una band che, per fortuna, è una certezza, e che dal vivo non ha mai deluso. Bravi.
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