La scena attuale del power/prog metal è piena di lavori efficienti, pragmatici, precisi, pianificati nei dettagli più minuziosi, apparentemente ideali per la nostra società straripante d’individui rampanti, arroganti e prevaricatori (io la chiamo la sindrome del “manager” …), per i quali “funzionare” sembra essere meglio di “vivere”.
A volte, però, anche in questo genere tanto rigoroso e codificato si trovano delle piacevoli eccezioni e se anche per voi conta ancora, e molto, la passione e l’anima delle cose prima ancora della loro perfezione
formale, il mio consiglio è di affidarvi con fiducia ai campani
Stamina, giunti, con questo “Two of a kind” alla seconda fatica discografica ufficiale.
Il disco è, infatti, generalmente riconducibile, forse anche in maniera più marcata che in passato, a quel genere che, dalla lezione impartita dai maestri incontrastati Rainbow, ha visto nascere una stirpe di eccellenti (chi più, chi meno …) artisti del calibro di Royal Hunt, Symphony X, Stratovarius, Rising Force, …, ma che poi, almeno dal mio punto di vista, non è stato altrettanto vitale nei suoi discepoli di “seconda generazione”, troppo spesso incapaci di imprimere un proprio contributo espressivo ad un canovaccio eccessivamente reiterato.
Apporto che rilevo, invece, nella prova del gruppo nostrano, autore di un progetto sonoro vivacizzato da illuminanti bagliori fusion, jazz e AOR, inseriti, e questa è sicuramente la vera caratteristica decisiva, in un contesto compositivo di grande gusto estetico, armonizzato e razionale, in cui le origini ispirative sono incontestabili, ma sono anche rivisitate con evidente spinta emozionale.
Sellitto e Adamo sono ancora una volta i protagonisti della situazione, e se il primo convalida pienamente quanto di buono ho già scritto di lui in passato, dimostrandosi un musicista e compositore di classe superiore, sottolineo ulteriormente l’impressionante prova del lungo-crinito singer, il quale non appare per nulla intimidito dalla presenza di Henrik Brockmann (ex Royal Hunt ed Evil Masquerade) e Kenny Lubcke (ex Narita, Andre Andersen, …), gli ospiti vocali del disco che pure si distinguono per tecnica e interpretazione.
La prova di Giorgio è maiuscola per intonazione e comunicativa, per quanto mi riguarda vince la
sfida con gli
special-guest e conferma che non è necessario allontanarsi dal
Belpaese per reperire autentici campioni della fonazione modulata.
Qualche cenno sui pezzi, dunque, patendo da “Eyes of the warrior”: se il genio dei Rainbow di Dio si fosse lasciato lambire dagli impasti vocali alla Yes/Queen e dalle funamboliche divagazioni della Mahavishnu Orchestra, il risultato finale non sarebbe stato
troppo distante da quello che gli Stamina sono stati capaci di fare in questo pezzo davvero intrigante.
“Burn your fears” non è da meno della precedente, una
metal-prog-fusion track di notevole suggestione, sostenuta dal duetto vocale Brockmann-Adamo, dalla chitarra Holdsworth-
iana di Luca e dalle tastiere di Barone che ricamano su di una struttura melodica colta, barocca e istantanea allo stesso tempo … ambiziosa e assai godibile.
“Too tired to live” è una gemma di tensione e forza espressiva, che riunisce in un’unica entità Cornerstone e Royal Hunt, l’ambientazione melodrammatica è da brividi e la variante cantata da Lubcke, presente come bonus track, offre la possibilità di ri-apprezzare un brano straordinario attraverso le peculiarità di un’altra ugola dalle notevoli dotazioni espressive.
L’AOR accarezza i tracciati sonori di “Power of love”, ma il ricorso a paradigmi di power “facilotto” svilisce un po’ l’efficacia della canzone, così come rende, a mio modo di vedere, eccessivamente “normale” la successiva “Supremacy”, una
speed-track solamente discreta anche per alcuni passivi richiami ai Rising Force.
Una nuova occasione di valutare l’efficacia di un’eccellente composizione alla luce di due diverse interpretazioni vocali è offerta da “Maker of the universe”, apprezzabile anche nella trascrizione eseguita dal solo Lubcke … in entrambi i casi, l’omaggio Purple/Sabbath/Malmsteen, arricchito da una contribuzione di marca pomp/prog (Kansas?), appare assolutamente intraprendente e molto appagante.
Con “Mystery” torna l’
effetto Royal Hunt (e Symphony X, pure), ma la melodia è troppo allettante per preoccuparsene, mentre reputo “Black moon” un altro dei tasselli maggiormente sfavillanti tra quelli disponibili nel ricco mosaico di “Two of a kind” … magnetica e toccante la laringe di Adamo scandaglia con pathos autentico i sensi dei fans di Rainbow, Sabs e Malmsteen, ricordando ancora una volta l’approccio dei migliori Cornerstone, una delle formazioni più abili nell’esercizio della difficile arte che coniuga evidente ispirazione “filosofica” e valore artistico.
C’è ancora spazio per “Heart of the world”, hard
settantiano ad “alto godimento” e per “When the feeling is real”, un gradevole strumentale “atmosferico”, capace di gratificare ulteriormente l’ego già non proprio
modesto di Ritchie e Yngwie.
In conclusione, il secondo albo degli Stamina è convincente, potente, coinvolgente e di solito piuttosto
costruttivo … un paio di episodi meno “a fuoco” (e una produzione diligente ma migliorabile) non mi fa cambiare idea su di un gruppo di grande qualità, fantasia e passionalità, che spero vivamente non si faccia mai tentare dai tanti freddi
manager che affollano anche il mondo della musica.