Ripartire da dove si era finito, cambiando rotta.
Potrebbe sembrare una cosa complicata da fare e quasi senza senso, ma gli
Anubis Gate col tempo ci hanno abituato bene e con questo nuovo omonimo lavoro continuano in questo processo di “coccolamento auditivo”, regalandoci l’ennesima strabiliante perla di progressive metal, non accomodandosi sulle glorie del recente passato ma stravolgendo ancora una volta in parte il loro sound, più o meno in maniera forzata.
Gli
Anubis Gate nascono in Danimarca nel 2003, anche se in realtà affondano le loro radici addirittura nel 1984, quando il chitarrista
Jesper Jensen unì i suoi sforzi col bassista
Henrik Fevre e in seguito col tastierista
Kim Olesen e il batterista
Morten Sorensen, formando praticamente quella che tutt’ora è la line-up della band. I 4 però si dedicarono a progetti personali fino appunto al 2003, quando decisero di unire di nuovo i propri intenti per sfornare l’album di debutto della band, “
Purification”, uno strano mix di doom e power, in cui affioravano venature prog che sarebbero si sarebbero poi mostrate nella loro magnificenza solo con gli ultimi lavori, “
Andromeda Unchained” e soprattutto il magnifico “
The Detached” del 2009, tutt’ora uno dei miei lavori preferiti in ambito Prog Metal e in senso assoluto.
Le cose in seno alla band intanto erano cambiate, in particolare con l’avvicendarsi dietro il microfono tra
Torben Askholm, più orientato ad un cantato doom e cupo, e
Jacob Hansen, padrone di una voce di assoluto valore e decisamente più versatile di quella di Askholm, capace nel già citato “
The Detached” di mettersi in mostra in tutta la sua particolarità.
Inizio quindi l’ascolto di questo omonimo “
Anubis Gate” con tantissime aspettative, e l’album comincia proprio dove avevo lasciato “
The End..” sul disco precedente..”
Hold Back Tomorrow” è infatti una canzone grandiosa, un principio perfetto per un disco che si presenta benissimo: accoglienza riservata alla tastiera di Olesen, piano di batteria e basso in grande spolvero, riffoni di chitarra in stile thrash ma..c’è un ma. Rimando indietro la canzone, cercando di capire questo “ma” da dove proviene, avverto le stesse sensazioni positive ma c’è qualcosa che non mi torna: la voce di Jacob Hansen non c’è più. Do un’occhiata quindi alla line-up e scopro che Hansen ha abbandonato la band, limitandosi a svolgere il lavoro di produttore, occupazione già svolta sugli altri album che purtroppo, col passare degli anni, è diventata talmente pressante da costringerlo a cedere il microfono.
A chi vi chiederete voi? Beh, la fortuna dei danesi è proprio la versatilità dei propri componenti, ulteriore sintomo di una capacità tecnica fuori dal comune. Ed ecco che l’eredità al microfono viene raccolta dal bassista e membro fondatore Henrik Fevre il quale, superata l’iniziale empasse dovuta al modo differente di interpretare il ruolo di cantante, mi ha positivamente convinto, sfoderando una prestazione eccellente, favorita da una voce più pulita e bilanciata rispetto a quella di Hansen, in grado di donare alle composizioni degli
Anubis Gate quel senso di novità che gli permette di regalarci l’ennesima perla della loro discografia.
La voce di Fevre infatti “ammorbidisce” le 10 canzoni presenti sul disco, accentuando maggiormente la componente più prog e allo stesso tempo melodica della musica dei danesi, senza però trascurare il suo grande lavoro al basso. Gli altri componenti della band continuano a svolgere egregiamente il loro lavoro, pestando duro quando serve (la già citata “
Hold Back Tomorrow” e soprattutto “
Desiderio Omnibus” valgono da esempi) e allo stesso tempo regalandoci melodie da brivido come nella conclusiva “
Circumstanced”, uno dei fiori all’occhiello del disco.
La canzone che più rappresenta questi nuovi Anubis Gate è però la terza traccia “
Facing Dawn”, vero raccoglitore di quello che i danesi hanno cercato di realizzare con questo disco: un occhio particolare al songwriting, cercando di mantenere nelle varie canzoni strutture semplici ma allo stesso tempo tecnicamente complesse, al fine di non scoraggiare nell’ascolto ne i più interessati all’aspetto melodico ne i fan della tecnica pura. In tutto questo aggiungiamo una componente elettronica molto più marcata rispetto al passato, frutto del grandioso lavoro alle tastiere di Kim Olesen, riscontrabile ad esempio in “
Telltale Eyes”.
Grandiosa in questo senso è anche “
Golden Days”, dove abbiamo forse il miglior saggio del differente approccio vocale tra Hansen e Fevre, con una canzone che ricorda una versione di “
Ammonia Snow” priva della drammaticità della voce di Hansen e ripulita grazie ai vocalizzi di Fevre.
In conclusione un tentativo riuscitissimo da parte degli
Anubis Gate di re-inventarsi, seppur parzialmente, senza inciampare in un cambio di line-up non voluto ma che gli ha anzi aperto le porte verso un nuovo universo di suoni. Sono certo che chi ha apprezzato gli Anubis Gate fino ad oggi non faticherà a riconoscere il valore eccelso di questo disco, anche se magari gli servirà qualche ascolto in più per goderselo al meglio, data la varietà di sonorità presenti. Per gli altri, decisamente un buon viatico per avvicinarsi al mondo dei danesi, data la gran quantità di melodia riversata nel disco.
Quoth the Raven, Nevermore..