Quattordici anni. Quattordici maledetti anni ho passato a maledire il giorno in cui
D.C. Cooper ha lasciato i
Royal Hunt. Quattordici anni passati ad ascoltare senza soluzione di continuità “
Moving Target “ e “
Paradox”, a riguardarmi la mia VHS del live “
1996” (tra poco disponibile in dvd in accoppiata all’altro capolavoro live “Paradox – Closing the Chapter”, in uscita sempre per Frontiers), anni passati a stupirmi di come un uomo possa avere una voce così perfetta, e di come una band possa vestire quella voce come un guanto. Anni passati a maledire i
soldi che sono stati l’unico, vero motivo di rottura tra il mastermind
Andre Andersen ed il biondo pompiere americano (sì perché DC, quando c’ha tempo libero, va a fare il volontario nei vigili del fuoco, mica gioca a Fifa 12). Ed oggi?
Oggi, fresca e tenera come una rosa, arriva la Frontiers Records e mi recapita tra le mani “
Show me How to Live”, ossia il nuovo album dei Royal Hunt. Con DC Cooper di nuovo alla voce. Oh, cacchio.
Dopo aver pulito per terra, ed aver medicato la ferita da taglio procuratami alla fronte per lo svenimento, ho finalmente schiacciato il magico tastino a triangolo, con la segreta (mica tanto) paura che il sogno che ho atteso per questi quattordici, infiniti anni, si tramutasse in un incubo, consegnandomi un album sciatto, poco ispirato, o una band di nuovo insieme per
soldi (sì, di nuovo loro, più una cosa ti manca più ne parli, ci avete fatto caso?). Ed invece, cari croccantini all’ascolto, devo riconoscere, rientrando a fatica nei panni del recensore imparziale, che questo disco è una bomba. Ma procediamo con ordine.
Il colpaccio era annunciato: gli Hunters e DC si erano riuniti in marzo, per un mini tour celebrativo chiesto a gran voce dalla fan base. I risultati sono stati più che incoraggianti, e così si sono riaperte le trattative. Nel frattempo, Andre Andersen assoldava alla chitarra il giovane talento danese
Jonas Larsen, di chiara scuola Malmsteeniana. Era il perfetto tassello mancante per mettere in moto le macchine, e così, dopo pochi mesi passati in studio, i Royal Hunt tornano ad essere quel prodigio del class metal che gli anni ’90 ci avevano fatto scoprire. Tanto da meritarsi, dopo davvero tantissime recensioni, il mio personale track-by-track. Si parte.
1: One more Day – Intro drammatica e magniloquente, che sfocia nel classico uptempo “alla Royal Hunt”, pensate se volete a “Last Goodbye”. Dc non si fa aspettare molto: parte morbido ma drammatico, per portarci per mano in un ritornello da lacrime agli occhi, grazie anche all’aiuto delle backing vocals femminili, vero marchio di fabbrica della band, che in questo album saranno la ciliegina sulla torta.
2: Another Man Down – il duetto vocale di DC e della melodiosa backing singer prende quota, su un brano che parla del dolore dell’amore perduto. Un altro ritornello semplicemente perfetto, su un mid tempo pomposo e ricamato in maniera deliziosa da Andre e Jonas.
3: An Empty Shell – Forse il brano più duro del lotto, di certo il più corto (e parlo di quasi 5 minuti). Bellissimi i suoni, basso in primis, plettrato da
Andreas Passmark con furia e precisione, una bella botta di adrenalina, tra scale neoclassiche e fughe strumentali da capogiro.
4: Hard Rain’s Coming – Il clavicembalo di Andre e la voce di DC introducono l’ennesimo piccolo capolavoro di quest’album, un altro refrain da cantare a squarciagola ai concerti, un’altra interpretazione semplicemente da perderci la testa da parte del singer, che ha il raro potere di commuovermi ogni volta che dà fiato a quelle corde vocali. Che spettacolo.
5: Half Past Loneliness – È di nuovo il basso di Andreas a farsi largo su un bel brano sostenuto ed energico, dai toni drammatici e dalla melodia accattivante. Ma quanti anni erano che un album non riusciva a donarmi tante melodie così facilmente memorizzabili? Attitudine pop per un brano di puro class metal, ennesimo ritornello stellare, ennesimo plauso ad una band in forma stupenda.
6: Show me How to Live – La title track è il pezzo più lungo (10:25) dell’album, ed a mio avviso anche quello in cui Andre Andersen si è preso le maggiori libertà in fase compositiva. Un lento crescendo di tensione sfocia in una fase centrale strumentale bella ma un filo prolissa, su cui ognuno dei quattro (superlativi) musicisti sa apporre il proprio marchio di fabbrica, prima che la voce di DC ci riporti in carreggiata per un finale da brividi.
7: Angel’s Gone – A chiudere le danze, un altro classico brano dei Royal Hunt, con scale iperveloci e stacchi in controtempo, molto simile se volete a “Time will Tell”. Ecco, forse questa è l’unica pecca di “Show me How to Live”: il fatto di essere un filo troppo autoreferenziale, guardando ai due albums da me citati in apertura come punto di riferimento costante, cosa peraltro più che ovvia, visto che è proprio l’era “DC Cooper” ad aver regalato alla band la fama internazionale.
In conclusione, che dire? I Royal Hunt hanno realizzato l’album che i fans chiedevano a gran voce da una vita, ricostruendo un sodalizio artistico che tante faville aveva fatto in passato, e che rischia di farne ancora per molto tempo. Io, dal canto mio, non riuscirò facilmente a togliere dal lettore questa piccola gemma musicale: grazie Andre, grazie DC, ci son voluti quattordici maledetti anni, ma ne è valsa la pena.