Me lo dovevano da 17 anni, finalmente ce l’hanno fatta.
Era dai tempi di
Metropolis pt.2 che aspettavo un disco dei
Dream Theater in grado di farmi emozionare, sobbalzare, applaudire: con questo
“The Astonishing” i miei ragazzi riescono nell’arduo compito di scrivere quanto più si avvicina a un capolavoro, ovvero un bellissimo album. Certo, ci sono alcuni filler e alcune parti potevano essere evitate o accorciate, ma senza queste saremmo stati di fronte a qualcosa di epocale, da voto fuori scala.
Sinceramente non ci speravo, anche perché i mesi passati dall’uscita dell’ultimo album (inizialmente accattivante ma durato solo qualche giorno nello stereo) e dalla fine dell’ultimo tour sono stati ben pochi. Invece evidentemente la band oggi è coesa (più che in passato, mi tocca ammetterlo anche se il mio amore per
Mike Portnoy non è certo sopito), affiatata, in grado di mettere a frutto il tempo trascorso insieme per lavorare al meglio sulle composizioni. Le ore spese per dare vita a questa doppia opera si sentono tutte, a partire dalla storia (lascio alla vostra curiosità viaggiare sul web alla ricerca della simpatica trama), passando per i testi e finendo, ovviamente, per la musica.
La cosa più importante è che in questo disco
Jordan Rudess abbandona finalmente un buon 90% di tutti quegli orpelli inutili che avevano contribuito a rovinare diverse cose decenti degli ultimi lavori, tornando a suonare principalmente il pianoforte. Un’anima candida ma forte che impatta su tutto l’album e che, anche quando si trasforma in suono elettronico, difficilmente arriva a stancare o ad invadere il terreno riservato agli altri strumenti.
John Petrucci conferma quanto invecchiare gli faccia bene, riuscendo ancora una volta ad offrire una prova maiuscola soprattutto a livello di assoli, dove la melodia e l’efficacia dominano rispetto alla tecnica.
Mike Mangini fa un gran lavoro (forse meno in fase di mixaggio), ma un po’ in ombra, come quei mediani d’interdizione che non fanno notizia ma ti fanno vincere le partite. Stessa cosa si può dire di
John Myung, che non farebbe notizia nemmeno se avesse un proprio giornale, nonostante la classe indiscussa e indiscutibile. Il vero mattatore di questo disco, però, è
James LaBrie, che fornisce una prestazione vocale emozionante, matura, varia, quasi arrogante in quanto a perfezione. La sua efficacia sulle ballad non è mai stata in dubbio e spesso qui trova l’apoteosi totale, ma la capacità di raccontare una storia cantata come questa con trent’anni di carriera sulla groppa merita solo una lunga standing ovation.
Bene, immagino vogliate anche sapere della musica, delle canzoni. Sarò sincero: non sono andato nemmeno a leggermi i titoli e credo di essere intorno al quindicesimo ascolto. "
The Astonishing" è un’opera da gustare nella sua interezza, un concept vero e proprio, in cui gli episodi si succedono uno dietro l’altro (volendo tornare al concetto di canzone, comunque, questa volta si osserva una certa predilezione per le durate brevi) in un alternarsi di emozioni vere. Ovviamente abbiamo tre o quattro temi portanti che si ripetono e vengono più o meno approfonditi, ma la varietà di melodie e soluzioni è a mio parere molto più marcata che, tanto per prendere un concept a caso, in
Metropolis pt.2. Scordatevi il prog metal intricato, le sette corde arrabbiate a tutti i costi, prendete i
Dream Theater più melodici ed ispirati, un’orchestra in carne ed ossa e fategli fare due ore e mezza di musica: ecco cosa avete tra le mani. Un’opera progressive rock vera, sincera e sorprendente. Un disco da approfondire con attenzione, in cui ascolto dopo ascolto si scoprono colori e sfumature sempre nuove.
Avere nelle orecchie questo album per chissà quanto e andare a gustarselo dal vivo (il prossimo tour prevede infatti la proposizione dell’intero "
The Astonishing") è un obbligo morale non solo per tutti i fan della band, ma anche per i veri amanti della musica, che possono solo ringraziare questi cinque arzilli uomini maturi per essere riusciti, smentendo ogni pronostico, a stupire ancora.