E' difficilissimo, per chi scrive, riuscire a trasformare in parole la musica strana, inquietante, avvolgente, ipnotica di una band come gli
Opeth.
Una fatica, si diceva, per la multiforme varietà dei colori, delle sensazioni, delle emozioni veicolate in uno qualsiasi dei piccoli capolavori a firma Akerfeldt e soci; e, come avrete già capito, questo nuovo
"Watershed" non si esime dal compito.
Sette tracce, sette piccole perle come sempre difficili da mandar giù, come il migliore degli assenzi, sette palazzi fiabeschi in un mondo strano, un pò deforme, scuro e chiaro, caldo e freddo, storto come un orologio di Dalì.
Apre le danze
"Coil", lievissima ballata in punta di chitarra acustica, dove Mikael divide le vocals con
Natalie Lorichs, una cantante folk dalla voce di velluto. Tutto sembra immobile, sospeso, un sogno dentro un sogno, fino a quando le prime mazzate di
"Heir Apparent" non arrivano a chiedere il loro tributo di piombo. Una song in pieno Opeth style, piena di stacchi, ripartenze, cambi d'umore, con la voce di Mikael che esplode in urla gutturali, per poi accompagnarsi un secondo dopo con una chitarra classica, per poi riprendere ad urlare come un demonio. Tecnicamente, ci piace sottolineare come il combo sia veramente arrivato a dei livelli di assoluta perfezione: questa è la band di cinque musicisti con tutti gli attributi del caso, che sanno spremere dal loro strumento tutte le sfumature di colore che la canzone richiede in quel momento. Si, perchè è come assistere ad una mostra, in cui un artista, folle e visionario, vi sottopone sette tele, sette opere da analizzare, vivere, respirare, sentire, e guardare a lungo, per poterne cogliere significati a volte nascosti.
Se devo essere sincero, rispetto a certi capolavori del passato che non oso neanche nominare, qui mi sembra a volte che l'impeto puramente tecnico scavalchi la pura ispirazione artistica; sembra di percepire come certi passaggi, certi inserti strumentali sembrino quasi una sorta di 'dimostrazione di bravura', come se gli Opeth, nel 2008, avessero ancora bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno. Tant'è, la sensazione è passeggera, e peraltro accompagnata da musica suonata in maniera maiuscola, e così il viaggio continua attraverso universi sempre più strani, sempre più accattivanti...
Giusto il tempo di citarvi le bellissima e malinconica
"Porcelain Heart", di cui i nostri hanno appena realizzato il
video, e di sottolineare l'incredibile complessità e bellezza di un brano come
"Hessian Peel" il più lungo (e a mio avviso il migliore) del lotto, che lascia sbalorditi per come trama e ordito, musica e parole, riescano a rincorrersi senza mai afferrarsi, di come la genialità di un pugno di musicisti riesca ad essere messa in note, con stacchi metal furiosi inseguiti da aperture sognanti ed eteree.
Tiro le somme, e lo faccio con fatica. Mettere in parole un disco degli Opeth, ve l'ho già detto, è impresa titanica. Molto meglio comprarlo, mettere le cuffie, e non opporre resistenza: verrete trascinati in un mondo affascinante, a volte spaventoso, ma non per questo meno incredibile.
Così, tra questa immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce, in questo mare.
Giacomo Leopardi