I torinesi Digitalis Purpurea arrivano al debut album dopo aver disseminato la loro carriera, che parte agli albori del 2000, con una serie di split-cd e demos.
Prendono il nome da una pianta simbolo della tentazione, che ha scopi medicinali ma che allo stesso tempo se usata eccessivamente può portare ad un’overdose letale. Questa duplice natura della pianta, queste due facce della stesa medaglia, bene si adattano alla musica dei Digitalis Purpurea.
Parliamo di Ebm/Industrial asettico, freddo, a tratti glaciale, ma allo stesso tempo capace di mostrare, sotto la sovrastruttura di metallo e silicio, un lato inesorabilmente umano.
Dopo l’intro, in cui troviamo un sample estratto dal film”Pi greco – Il teorema del delirio”, quasi un manifesto della
weltanshauung del duo, ci ho messo veramente pochissimi secondi dall’inizio di “Coded Feel” per iniziare a masturbarmi, avendo subito riconosciuto i venefici e malsani germi dei Marilyn Manson di “Antichrist Superstar”.
L’ombra del reverendo Manson aleggia lungo tutte le dieci tracce (nove più
hidden track) di questo album, non solo a livello vocale (praticamente identica è la voce del singer Pi Greco), ma i riferimenti alle cose migliori della band americana si sprecano, basti citare “We’re All Stars In Our Snuff Suicide” che fa il verso al mansoniano inno “We’re all stars in the dope show” tratto da “The Dope Show”.
Certo ci sono tante altre influenze, perché a turno a possibile sentire N.I.N., Kovenant, persino i concittadini Thee Maldoror Kollective.
Ogni influenza è commista alle altre per creare un sound pesante, che poco concede alla melodia, molto puntando su beat sincopati, ostici, dove l’oscurità avvolge i riffs taglienti dell’altro componente C-Power. Basta ascoltare “Crittodream” per rendersene conto.
Le canzoni sono tutte di ottimo livello, “Religious Mercy” è un virus che si piazza nel cervello e lo divora da dentro, le chitarre non affogano del magma siliceo digitale ma rilasciano affilatissime shockwave che segnano le canzoni come cicatrici, è il caso di “Not”.
“Dried Up And Spotted With Black Lipstick” apre cattivissima, infligge colpi durissimi, è rabbia cristallizzata, raffinata, puro odio binario. Manson sarebbe fiero di aver fatto di tali proseliti.
Infine c’è anche il tempo per un paio di collaborazioni con voci femminili, come quella di tale Celine Cecilia Angel, in “Ideomatic”, canzone che ammicca a certo cyberglampunk, come potrebbero esserlo i Genitortures o i dimenticati Vampire Love Dolls, oppure nella conclusiva “Maneater”, cover di Nelly Furtado, che, anche grazie all’apporto di Tying Tiffany, ha una resa clamorosa per originalità e capacità della band di averla saputa scarnificare per rivestirla di algida elettronica e chitarre maligne.
C’è ancora spazio per una traccia nascosta, in genere trascurabili sulla quasi totalità dei dischi odierni, ma qui funzionale al contesto, anzi quasi una della track migliori.
“Rotten Meal” è inquietante, ossessiva, angosciante, un nero monolite uscito dai peggiori incubi di mister Trent Reznor sotto acido.
Il giudizio finale su questo disco è ovviamente più che positivo. Si potrà sicuramente dire che i Digitalis Purpurea sono pesantemente influenzati dagli artisti sopracitati (ok, a volte si sfiora il plagio), ma il risultato finale, almeno a me, ha fatto godere, e non poco.
Al posto vostro mi fregherei di tutte queste pippe mentali, e inizierei a farmele veramente, quelle fisiche, su questo “Aseptic White”.