Fritto misto di metal estremo scandinavo in questa domenica di metà ottobre all'Alcatraz di Milano.
La bill di questo concerto ha subito svariati cambiamenti (man a mano in peggio) riguardanti il gruppo di apertura. Prima si vociferava dei Machine Head, che avrebbero reso questo concerto assolutamente imperdibile con un tris di ottimi gruppi, poi gli Hatesphere, abili death-thrashers danesi che pur non essendo un gruppone sanno abbastanza il fatto loro. Dopo la recente defezione di questi ultimi, per problemi di line-up, la scelta è ricaduta sull'ennesimo (e sconosciuto) gruppo death-thrash/metalcore/melodeath&affini svedese: gli Engel... toccherà a loro scaldare il pubblico in attesa dei big.
L'affluenza è ottima (anche di venditori di magliette taroccate). Apertura dei cancelli puntuale alle 7, giusto il tempo di entrare e gli Engel fanno capolino sul palco.
ENGEL:
Naturalmente lo spazio riservato loro sul palco è abbastanza ristretto, anche se salta subito all'occhio la batteria (dietro la quale siede un sosia di Moby), fin troppo minimalista: cassa, rullante e 5 piatti. Sin dall'inizio della loro esibizione risultano evidenti le influenze del gruppo di Goteborg. E neanche a dirlo sono appunto tutti i prodotti musicali degli ultimi 15 anni della città svedese: death melodico comprese le sue ramificazioni confluite in metalcore e death-thrash. Insomma esattamente come un italiano che suona il mandolino, mangia pizza e canta 'O Sole Mio non smentiscono facili stereotipi, dunque non stupiscono. Ma non sarebbe nulla di male se la totale mancanza di originalità fosse poi colmata da canzoni ben scritte, che lasciano il segno. Cosa che purtroppo non accade. I pezzi sono ben suonati, i musicisti sono professionalissimi (specie il cantante che passa agilmente da screaming vocals a clean senza difficoltà di sorta) e anche la presenza scenica c'è tutta ma quello che manca è proprio la materia prima, cioè canzoni in grado di smuovere. Invece la mezz'oretta scarsa a loro concessa passa innocua e le uniche reazioni del poco pubblico già confluito al palco sono poche corna alzate nelle prime file, timidi movimenti della testa e applausi di incoraggiamento.
Ricercando informazioni in giro ci si accorge che gli Engel non sono i primi venuti, in quanti sono tutti, chi più chi meno, ex della scena di Goteborg e annoverano tra le loro fila anche Marcus Sunesson (ex-The Crown) e Niclas Engelin che è stato per un tour chitarrista degli In Flames. Ma a giudicare dalla qualità dello show offerto, specie dal punto di vista musicale, verrebbe da pensare o che hanno dei santi in paradiso, oppure che la loro musica non rende al meglio live. Non si spiega altrimenti il perchè, nonostante l'unico loro album sia uscito solo pochi giorni fa, contino all'attivo già due videoclip e abbiano avuto la possibilità di prender parte a questo tour nel posto lasciato vuoto da Machine Head ed Hatesphere. Rimandati.
AMON AMARTH:
Con la calata dei vichinghi di Stoccolma ci si aspetta uno spettacolo di tutt'altro spessore, aspettative che non vengono tradite. Rispetto al concerto dell'anno scorso in cui erano headliner la scenografia risulta logicamente più sobria e meno d'effetto essendo composta solo da due drappi recanti il moniker della band. Il quintetto si affida a Valhall Awaits Me, ottima opener della loro ultima fatica discografica, per rompere il ghiaccio, obiettivo centrato perfettamente. Il suono è affilato, il riffing compatto e le vocals di Johan Hegg impeccabilmente graffianti e cavernose. L'esecuzione sfiora la perfezione sotto ogni punto di vista. Da qui in poi non si registrerà alcun calo nello show e così Runes To My Memory prendere il testimone e prosegue il lavoro seguita da una splendida Death In Fire trabordante di energia. Dopo tre canzoni si nota subito che si è su tutt'altro livello, anche di attitudine, fiera ma allo stesso quasi intimista e amichevole nei confronti del pubblico. Il ruolo di mattatore spetta naturalmente al buon Hegg che alterna la rabbia del suo canto a frasi di ringraziamento al pubblico dette quasi timidamente, l'interpretazione sentita dei suoi testi a una splendida e genuina naturalità tra una canzone e l'altra. Si ritorna a With Oden On Our Side con Cry Of The Black Birds a cui fa seguito la title track di Fate Of The Norns. Giusto il tempo di dedicare un brindisi ai presenti ("Skoll" e poi, indicando il corno, "Nastro Azzurro") e sul pubblico cala la furia cieca di Asator. Il finale è affidato al lato più epico della musica degli Amon Amarth con Victorious March e Pursuit Of Vikings.
Purtroppo il loro show termina qui e trova proprio in questo il suo unico difetto: la breve durata. E specie alla luce dello show degli Engel sorge spontanea una domanda: non sarebbe stato meglio, per il pubblico, fare un tour con solo due band e dando un'ora e mezza agli Amon Amarth? Sicuramente la risposta è si, anche perchè piange il cuore a vedere una performance cosi buona praticamente "mutilata" rispetto a quanto sarebbe stata la durata meritata. Ma tant'è, resta comunque il sapore di uno show davvero ottimo di una band che dimostra ogni volta di essere a ragione la punta di diamante del Viking Metal e che da la netta impressione di essere genuinamente felice di poter suonare per i suoi fans, sintomo inequivocabile di passione per quello che si fa e discriminante tra musicista e artista. Sicuramente loro ricadono nella seconda categoria e si spera di poterli rivedere presto su suolo italico, magari con uno show di durata proporzionale alla loro bravura.
Setlist:
Valhall Awaits Me
Runes To My Memory
Death In Fire
Cry Of The Black Birds
Fate Of The Norns
Asator
Victorious March
Pursuit Of VikingsDIMMU BORGIR:
L'Alcatraz è praticamente pieno quando, dopo una mezz'oretta di pausa, sale sul palco uno dei gruppi Black Metal che ha riscosso più successo tra il grande pubblico. Si sa come sono i Dimmu Borgir e dunque era quasi scontata una scenografia e un'entrata in scena di grande effetto. E infatti il palco è fatto a "scalino" con una parte più alta dove troneggiano l'immensa batteria sulla destra e le tastiere sulla sinistra con al centro uno schermo sul quale appare un sole nero in fiamme; l'intro è naturalmente apocalittica ed uno ad uno fanno capolino sul palco i sei blackster norvegesi accompagnati da due monaci (vestiti come quelli del video di The Sacrilegious Scorn) e Shagrath si posiziona davanti allo schermo in modo da trovarsi al centro del sole nero. Le danze si aprono con le due canzoni più rappresentative di Death Cult Armageddon: Progenies Of The Great Apocalypse e Vredesbyrd. Ma subito si nota che qualcosa non va. Il suono è mediamente atroce, con le tastiere sovrastano praticamente tutti gli altri strumenti e le 16 corde che formano un pastone confuso. Solo batteria e voce sembrano avere il volume giusto. E peccato dei peccati neanche la parte cantata in clean da Vortex risulta chiaramente udibile. Peccato. Segue un terzetto di canzoni tratte dall'ultimo album (The Serpentine Offering, The Chosen Legacy e The Sinister Awakening) in cui il suono migliora un po', quel tanto che basta a far notare che queste canzoni sono più godibili in sede live che su cd, pur non essendo esattamente dei pezzi memorabili. Durante i pezzi del nuovo album vengono proiettati sullo schermo filmatini abbastanza stereotipati con crociati o monaci medievali che rinnegano la loro fede e una canzone si una canzone no Shagrath si toglie un indumento. Lo show continua con A Grotesquery Conceiled e A Succubus In Rapture canzone a suo modo "dolce" che Shagrath, ormai a petto nudo (e che per fortuna ha deciso di non procedere nello strip), dedica alle ragazze del pubblico. Già qui si nota la differenza con lo show degli Amon Amarth, purtroppo non positiva. Al di là dei problemi di suono quello che salta abbastanza agli occhi è un'attitudine e uno spirito molto più da lavoratore che deve andare a timbrare il cartellino. A parte Vortex l'impressione generale è che gli altri siano li per fare il loro compitino minimo.
Tornando allo show c'è un attimo di pausa con la strumentale Fear And Wonder che introduce una tripletta niente male, la potentissima Blessings Upon The Throne Of Tyranny, la classicissima Spellboud e un'emozionante Sorgens Kammer. Questo è forse il momento più alto dell'intera esibizione grazie a canzoni di indubbia qualità e un suono finalmente prossimo alla decenza. Suono che man a mano che ci si avvia verso la fine dello show purtroppo peggiorerà di nuovo. Cosi The Insight And The Catharsis e The Sacrilegius Scorn è ancora abbastanza buono mentre su Puritania e The Mourning Palace esso peggiora al punto da rendere molto meno godibile l'ascolto. Il loro show termina qui, e con The Fallen Arises usato come outro i Dimmu Borgir si congedano dal pubblico al quale sicuramente sarà rimasto in bocca un retrogusto amaro.
Non che sia stato un concerto brutto, per carità, la setlist è stata molto piacevole e i brani ben eseguiti, ma il suono generalmente è stato poche volte sopra la sufficienza, quando cantava Vortex bisognava sforzarsi per sentirlo, idem per sentire davvero bene le chitarre. Alla nota positiva della buona prestazione di un Shagrath panzuto ed imbolsito si contrappone l'attegiamento generale di freddezza e poco coinvolgimento del gruppo che pareva li per svolgere il compitino.
Discorso a parte merita la prestazione di Tony Laureano dietro le pelli. Personalmente ero molto curioso di sapere come se la sarebbe cavata e come avrebbe reso composizioni non sue e di un genere che non è il suo prediletto. Si conosce perfettamente la sua bravura ma stranamente ha reso meno del dovuto parendo alle volte fuori contesto.
Insomma nel totale una prestazione non esaltante ma nemmeno brutta, si spera di vederli la prossima volta con dei suoni più decenti e, magari, con un atteggiamento più genuino sul palco.
Setlist:
Progenies Of The Great Apocalypse
Vredesbyrd
The Serpentine Offering
The Chosen Legacy
The Sinister Awakening
Grotesquery Conceiled (Within Measureless Magic)
A Succubus In Rapture
Fear And Wonder
Blessings Upon The Throne Of Tyranny
Spellbound (By The Devil)
Sorgens Kammer
The Insight & The Catharsis
The Sacrilegious Scorn
Puritania
The Mourning Palace
Outro - The Fallen Arises