Copertina 8

Info

Anno di uscita:2019
Durata:44 min.
Etichetta:Century Media Records

Tracklist

  1. BLOOD OF THE LEVANT
  2. MAN THE MACHINE
  3. LIGHT-YEARS
  4. INSIDE OUT
  5. PROPAGANDA FASHION
  6. DARK REVERIE
  7. BENT
  8. INNER UNREST
  9. LAUNDER THE CONSCIENCE
  10. PORTRAIT

Line up

  • Todd La Torre: vocals, drums
  • Michael Wilton: guitars
  • Parker Lundgren: guitars
  • Eddie Jackson: bass

Voto medio utenti

E’ sempre un compito particolarmente arduo dover recensire la nuova uscita discografica di una band che, in un passato più o meno lontano, ha saputo scrivere delle pagine indelebili o dei capitoli memorabili all’interno del magnifico libro della musica metal, perchè il rischio di imbattersi in inopportuni paragoni nei confronti di quei gloriosi anni ormai perduti nel tempo, è assai elevato ed in fondo tali confronti sono fini a sé stessi in quanto si sa, il passato è qualcosa di non tangibile, che esiste solamente nella nostra memoria e nel profondo della nostra anima, qualcosa che ci ha inevitabilmente segnato, ma che non può e non deve impedirci di guardare al presente, senza cui non c’è futuro.
Nel caso specifico dei Queensryche (come per i loro “amici-rivali” di sempre Dream Theater, del resto), i suddetti impietosi confronti si verificano puntualmente in concomitanza con l’uscita di ogni nuovo album in studio, e non hanno mai risparmiato aspre critiche (a volte eccessivamente ingenerose, ma in altre circostanze giustificate) nei riguardi di una band che, vale la pena ricordarlo, ha sempre avuto un approccio di stampo progressivo nei confronti del metal, pertanto era impensabile che potesse mantenere immutato il proprio sound per un lasso di tempo esteso, questo ha finito inevitabilmente per scontentare i fans di vecchia data, permettendo tuttavia di acquisirne degli altri. Per questo motivo, nel corso di tutti gli anni ’90 e nel successivo decennio, i detrattori del combo americano si sono spesso divertiti a “sparare a zero” sulla band che invece negli anni ’80 aveva concepito capolavori del calibro “Rage For Order” e soprattutto l'"opera magna" “Operation Mindcrime” , ciò che si rimproverava ai Queensryche di quel periodo erano le eccessive sperimentazioni che avevano gradualmente allontanato i nostri dalla loro direzione musicale originaria e, più in generale, dal metal. Nel 2012 tuttavia si verifica un cambiamento epocale: lo split con lo storico vocalsit Geoff Tate (una delle migliori voci di sempre, non solo nel metal) ed il suo avvicendamento con Todd La Torre (ex-Crimson Glory) che all'epoca fu vissuto come un autentico shock dai fans di vecchia data (gli stessi che curiosamente ripudiavano il "nuovo corso" del gruppo di cui Tate era leader), ma che, in realtà col tempo, si è rivelato un nuovo inizio per la band che da allora ha confezionato due buonissimi album come il disco omonimo del 2013 e “Condition Human” del 2015, espressioni sane di uno stile musicale più consono per le caratteristiche del gruppo che, paradossalmente dopo l’uscita dello storico singer (o forse per merito dell’entrata di La Torre, dipende dalla prospettiva che si adotta), ha acquisito nuova linfa vitale, trovando nuova ispirazione e creatività, e recuperando quel sound più "heavy" che l’aveva resa celebre in passato.
Cosi, dopo questo lungo, ma inevitabile preambolo, arriviamo ai giorni nostri: in questi primi mesi del 2019 ricchissimi di uscite discografiche, arriva anche quella targata Queensryche intitolata “The Verdict” che, a ragion veduta, può essere considerato più di tutti “l’album di La Torre” in virtù del fatto che il buon Todd, oltre ad occuparsi delle linee vocali, ha scritto anche le parti di batteria per l’indisponibilità (non si sa quanto temporanea) dello storico drummer Scott Rockenfield . A tal proposito, in un’intervista antecedente l’uscita di “The Verdict” il chitarrista Michael Wilton ha affermato: “Quando ha saputo che avrebbe dovuto occuparsi anche delle parti di batteria, Todd aveva la bava alla bocca e non vedeva l’ora di iniziare, ha fatto davvero un ottimo lavoro!
La particolare vena metallica di La Torre, già evidente nei precedenti due lavori con la band, emerge sin dalla opener “Blood Of The Levant” le cui lyrics trattano un tema di attualità molto delicato, ovvero la guerra in Siria, come si evince dal video che proponiamo di seguito. Si tratta di un pezzo diretto, senza tanti fronzoli, melodico quanto basta, ma soprattutto tremendamente aggressivo ed avvincente che trasuda passione, da ogni singola nota suonata e dall'ugola espressiva di La Torre. il quale dimostra una volta ancora di non aver nulla da invidiare ad un mostro sacro come Tate. Anche nella successiva “Man The Machine” si procede a delle velocità quasi inusuali per i canoni dei Queensryche, le chitarre di Wilton e Lundgren sono le vere protagonista del pezzo tessendone la trama tra riffs, assoli ed arrangiamenti veloci ma melodici che vengono impreziositi da una voce incredibilmente bella ed intensa. Si prosegue a passo deciso, senza “abbassare la guardia” nemmeno in “Light-Years”, brano in cui il giro di chitarra e basso iniziale (ripetuto poi lungo l’intera traccia), di stampo tradizionalmente "heavy-power", graffia come accaduto poche volte nella carriera della band, tuttavia nel cantato, dalle ritmiche sincopate e nel refrain, caratterizzato da una bellissima ed inaspettata apertura melodica, emergono prepotentemente le influenze tipicamente progressive della band, anche se fondamentalmente il pezzo rimane tiratissimo dall’inizio alla fine. Tocca poi ad “Inside Out” introdotta da melodie arabeggianti in stile “Myrath” ed anche in questo caso la tensione rimane alta, nonostante la traccia sia indubbiamente molto più introspettiva rispetto alle precedenti ma, non per questo meno intensa, merito anche qui delle chitarre che, tramite arpeggi ed assoli ipnotici, finiscono per rapire l’ascoltatore trasportandolo in una dimensione onirica. Le ritmiche si fanno nuovamente più serrate e pesanti in “Propaganda Fashion”, una song di poco più di 3 minuti, a dire il vero, forse la meno riuscita dell’intero disco perchè troppo scontata, comunque tutto sommato ben suonata, grazie al martellante lavoro di batteria e al basso di Eddie Jackson. Tuttavia è la successiva “Dark Reverie” a catturare sin dall’inizio l'attenzione, grazie alla sua drammaticità crescente ed alle atmosfere malinconiche, enfatizzate da chitarre mai dome che sembrano scavare nel profondo dell’animo umano. Le influenze progressive emergono nuovamente in maniera decisa in “Bent”, traccia camaleontica, dalle molteplici sfaccettature: la voce di La Torre più versatile che mai, ora pulita, ora filtrata, la sezione ritmica talvolta lenta e regolare, successivamente sincopata fino a ritrovarsi improvvisamente impazzita e poi le chitarre di Wilton e Lundgren che oscillano tra l’aggressività e la melodia. Si torna poi su territori più heavy nelle successive “Inner Unrest” e “Launder The Coscience”, entrambi bellissimi brani, in cui la rabbiosa esplosività di voce e chitarre si sposa perfettamente con le linee melodiche che i Queensryche riescono a rendere ammalianti come poche band sono capaci di fare, anche se le atmosfere rimangono fondamentalmente drammatiche e non concedono molto respiro. Il finale del disco è affidato a “Portrait “, ed è forse questo l’unico momento all’interno dell’intero album, in cui il ritmo rallenta e la tensione accumulata si lascia andare in un pezzo ipnotico, a tratti pischedelico, ma ad ogni modo piacevole.
Tirando le somme, “The Verdict” è davvero un ottimo lavoro, il successore ideale dei due precedenti album realizzati con La Torre alla voce, perfetto per continuare a percorrere la strada che la band ha iniziato a tracciare nel 2012, forse è anche il disco più pesante del nuovo corso, ma senza mai rinunciare a quella vena progressive che ha sempre contraddistinto il gruppo, inoltre quello che maggiormente fa piacere è notare come Wilton e soci stiano proponendo dei lavori qualitativamente elevati ormai con una ritrovata costanza e questo aspetto ha consentito alla band di riproporsi nuovamente tra i grandi del genere, senza dover costantemente fare i paragoni con un passato lontano ormai più di 30 anni.

Recensione a cura di Ettore Familiari

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 26 mar 2019 alle 09:08

DISCONE. Da loro fedele seguace avevo un po' perso le speranze da quando entrò La Torre pur avendo apprezzato i precedenti due dischi. Non perchP non lo ritenga un buon vocalist, anzi. Solo che preferivo Tate. Dove Todd utilizza un approccio più in your face (aggressivo), Tate va di cesello (carica di emotività ogni singola sillaba che canta). Anche questo ritorno alle sonorità heavy mi aveva un pò perplesso, anche perché da quando c'è stato lo split la band ha tirato fuori tre dischi stilisticamente MOLTO simili tra loro (cosa mai avvenuta prima, dove ad ogni uscita corrispondeva un'evoluzione). Invece questo disco pur nella sua "prevedibilità" stilistica e nonostante i brutti asupici (il fallimento del crowfunding e l'assenza di Scott) mi sta piacendo molto. Cresce di ascolto in ascolto. Mi piacciono moltissimo "Light-Year", "Bent", "Portrait", "Dark Reverie". Vorrei infine far notare come oggi i Queensryche vengano addittati come la band di Wilton e La Torre, quando invece Eddie Jackson e Parker Lundgren sono gli unici ad aver proposto brani composti completamente da loro, di cui due sono tra quelli che ho citato sopra.

Inserito il 06 mar 2019 alle 10:18

Delusione per me. A quanto pare i Ryche, dopo due buonissimi dischi metal (senza fare inutili paragoni col passato) hanno deciso di ripescare parzialmente quelle contaminazioni alt. rock che a loro non sono mai riuscite troppo bene... Insomma se i Ryche giocano a fare gli Alter Bridge, perdono il confronto su tutti i fronti. A malincuore, mi tocca bocciarli.

Inserito il 06 mar 2019 alle 08:41

Effettivamente dopo tante tante tante delusioni, per farmi ricredere ce ne vuole. Ma come dice Graz se 2 su 2 sono prositivi, e come dice Agatha 3 indizi fanno una prova.... E' che forse non dovrebbero più chiamarsi Queensryche allora forse riuscire a valutarli senza remore.

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