Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2020
Durata:63 min.
Etichetta:Argonauta Records

Tracklist

  1. HERE UNDER PROTEST
  2. GODLESS
  3. THE MOON SAYS GOODBYE
  4. HORNSWOGGLED
  5. TO MY BOY
  6. SPITE FUCK
  7. NO JUSTICE
  8. EBENEZER
  9. RIDE AWAY
  10. THE GREATER EVIL
  11. THE DAY SALVATION WENT AWAY
  12. PRUDES PURITANICAL PUDDLES OF PISS
  13. HERE COMES THE BRIDE A TALE FROM BACKWATER

Line up

  • Dee Calhoun: vocals, guitar
  • Louis Strachan: bass
  • Robert Calhoun: percussion, backing vocals

Voto medio utenti

Ricordo bene il concerto di Dee Calhoun al Padiglione 14 di Torino, un annetto fa. Centocinquanta chili di carne e barba, seduto su uno sgabello con la chitarra acustica, di fronte ad uno sparutissimo manipolo di ascoltatori. Al suo fianco, l'inseparabile compagno bassista "coloured" Louis Strachan, per offrire insieme una magica prestazione blues di pura atmosfera american-roots. Uno stile chiaramente particolare, che unisce nell'approccio acustico il blues più antico e profondo, richiami al country-folk rurale statunitense, ma anche una intensa atmosfera cupa ed a tratti disperatamente rabbiosa.
Il vocalist originario del Maryland rappresenta per me una sorta di icona del "beautiful loser" alla Charles Bukowski, cioè persone che pur restando costantemente ai margini del mainstream (e della società capitalistico-borghese), con le loro esistenze travagliate ed anticonvenzionali, costellate di errori e di sguardi sull'abisso, riescono comunque a realizzare qualcosa di significativo, di vitale, di generativo, indipendentemente dal contesto nel quale si trovano ad agire. Persone che puoi incrociare sedute al tavolo di un bar di periferia, all'angolo di una strada metropolitana o a ciondolare per la mainstreet di un paesino del Midwest statunitense. Fuori moda, fuori dagli schemi, alieni al conformismo massificante, ma con vite vissute impresse nel corpo e nell'anima.

Musicalmente, Dee Calhoun è stato protagonista come vocalist negli Spiral Grave e soprattutto nei cult-doomster Iron Man. Quelli capitanati dal compianto Alfred Morris III, il chitarrista di colore più sabbathiano dei Black Sabbath stessi, prematuramente scomparso nel 2018. Ma già in precedenza aveva dato vita a questo suo progetto personale, che con il presente "Godless" (Argonauta Records) giunge al terzo capitolo.
Come detto, undici brani costruiti su voce, chitarra acustica, basso e percussioni, affidate in alcuni casi al giovane figlio del cantante, Robert. Canzoni oscure, talvolta quasi sinistre nel loro incedere, intimamente bluesy, dalle tonalità molto dark che evocano sofferenza e rituali Voodoo, miasmi paludosi ed amori tossici, disperazione esistenziale ed anime vendute al Diavolo agli incroci stradali. Molto affascinante, anche se inevitabilmente nella loro spartana essenzialità le tracce tendono a somigliarsi tra di loro. Protagonista assoluta la voce di Calhoun, che riesce ad essere profonda e sferzante ("Here under protest", "Hornswoggled"), dolce e carezzevole ("To my boy"), perfino inquietante e lugubre come nella plumbea "Spit fuck", una sorta di funeral-doom-blues dall'atmosfera quasi liturgica.
Il tono generale è logicamente lento e trascinato, notturno ed alcolico, intimista e meditativo, senza particolari variazioni sul tema. E questo è forse il maggiore limite di un disco del genere, tenuto conto che parliamo di un'ora abbondante di musica. Bello nella sua drammaticità "on the road", nel suo rievocare il blues più antico e sofferto, nel suo creare un mood avvolgente che ci riporta al cantautorato dei bluesmen di strada che producevano musica magnifica con una chitarra economica ed un'armonica a bocca. Però, di questi tempi, è un lavoro davvero per pochi cultori del blues d'annata.

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