Copertina 8

Info

Anno di uscita:2021
Durata:43 min.
Etichetta:Svart Records

Tracklist

  1. THE HARROWING
  2. OLD GODS
  3. LEADERS OF THE BLIND
  4. REAPER'S SCYTHE
  5. GRAVEYARD SUN
  6. BLACK HARVEST
  7. UPON THE ALTAR
  8. YOU BEAR THE MARK
  9. DOOMSAYER
  10. BORN TO A DYING WORLD

Line up

  • Joseph Ghast: bass
  • Matt Wiseman: drums
  • Scott Black: guitars
  • Tom Templar: vocals
  • John Wright: keyboards

Voto medio utenti

Ma che bella sorpresa questa band inglese! Questo quartetto albionico profuma di seventies senza essere uno scopiazzatore seriale.
Perché troppi pescano nel genere ma purtroppo con poca personalità, cosa che non si può dire dei nostri.
Questo secondo album è una piacevole conferma a due anni di distanza dal debutto su Svart Records.
Si parte con il brano evocativo “The harrowing” introdotto dalla voce nasale del singer Tom Templar; pezzo strumentale epico con dei riffing esaltanti che sfociano nel brano successivo.
Old gods final”, è un macigno doom con riffoni blues amplificati, sezione ritmica granitica e tanto sudore.
Qui il profumo di hard rock settantiano è palese; la voce del singer è quanto di più lontano da certe voci starnazzanti che vogliono imitare e male toni unici come quelli di Ozzy o Robert Plant ed il solo è al calor bianco.
Altro pezzo da novanta è “The reaper’s scythe”, inizio scintillante con armonizzazioni e hammond per poi deflagrare in una cavalcata tonante stoner/ doom.
Grande movimento ritmico in odore di Sabbath e zolfo lontani un miglio ma con un sapore più caldo e sensuale; i solos sono torrenziali e brucianti come lava fumante, difficile non rimanere coinvolti.
Con “Graveyard sun” si va verso un pezzo ricco di pathos, lento e che sa di antico.
Basta ascoltare gli iniziali arpeggi acustici che fanno da introduzione per capire subito dove si va a parare; questi ragazzi sanno come si scrivono gran belle canzoni credetemi.
La titletrack è una strumentale che evoca un’atmosfera pagana con percussioni e tastiere che portano all’esplosione elettrica in armonizzazione che più heavy non si può con l’hammond in gran spolvero.
Ecco che con “Upon the altar”, torna il doom pachidermico pesante come un elefante incazzato.
Il riff è grosso, pieno di umore blues ed il chorus non lascia certamente indifferenti; l’assolo è bruciante e pieno.
Il finale è lasciato alla ballad “Born to a dying world”, inizio venato di soul e con un feeling elettro/ acustico.
Ottima conclusione che offre riff di gran gusto con un’anima ricca di emozione.
Grandi ragazzi e ottimo ritorno, magari tutti i dischi fossero così belli e senza inutili orpelli, qui le tessere s’incastrano in un bel quadro sonoro caldo ed emozionante.
Recensione a cura di Matteo Mapelli

Ultime opinioni dei lettori

Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?

Ultimi commenti dei lettori

Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?
Queste informazioni possono essere state inserite da utenti in maniera non controllata. Lo staff di Metal.it non si assume alcuna responsabilità riguardante la loro validità o correttezza.