Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2023
Durata:non disponibile
Etichetta:Spikerot Records

Tracklist

  1. TRANSITORY
  2. DESTINATION WOE
  3. THE LAST FLOWER
  4. DARKNESS WON’T TAKE ME
  5. NOTHING LEFT TO BURN
  6. OLD SCARS
  7. THE FIRST SON
  8. A NATURE IN DISGUISE
  9. MY DARKEST YEARS
  10. FADING AS ONE
  11. A NEW DEATH IS BORN
  12. UNDERWATER ODDITY
  13. BLAZING SUNLIGHT

Line up

  • Matteo Capozucca: bass, vocals (backing)
  • Emiliano Cantiano: drums
  • Gabriele Giaccari: guitars, vocals (backing)
  • Raffaele Colace: guitars, vocals (backing)
  • Davide Straccione: vocals (lead)

Voto medio utenti

Questo quarto lavoro dei laziali si candida ad essere uno dei migliori lavori dell’anno in corso.
Questo ritorno dopo tre anni di separazione del precedente, è figlio di quelle sessioni e porta un carico di dolore rabbioso.
Doom nella più piena accezione del termine, difatti la perdita della bellezza del titolo si presta a diverse interpretazioni, io la vedo come la perdita dopo due anni sofferti, cupi e le cui cicatrici rimarranno a lungo (le bare portate lungo la mia città, Bergamo rimarranno nella memoria e vive per noi).
Si parte con la possente strumentale “Transitory”, lenta esecuzione con chitarre dai risvolti epici e drammatici che portano a “Destination woe”; la melodia è sempre presente in questo mid tempo dove le parti pulite duettano con un growl pieno e rabbioso come un pugno levato verso il cielo.
Questo dualismo ci accompagnerà per quasi tutta la durata del disco, ma soprattutto è il pathos emotivo e coinvolgente a farla da padrone.
Basta ascoltare la bellissima “Nothing left to burn” dove si sentono echi dei migliori My Dying Bride; grande prova vocale piena e i riffing sono un condensato di mestizia ma al contempo graffiano la pelle e ti scuotono quando interviene il latrato cavernoso e carico d’ira; “Old scars” è una semicavalcata doomy con riffing serrati in tremolo che però mutano pelle e ti incardinano nell’abisso con un gioco di scambi ritmici e con le voci pulite che lasciano il segno.
The first son” è una breve strumentale con il pianoforte dell’ospite Paolo Campitelli che con brevi interventi con orchestrazioni dona un’ulteriore prova della sostanza di questo lavoro.
A nature in disguise” che vede la partecipazione dell’ospite Selvans negli screaming ha anche delle reminiscenze black metal con attacchi veloci e chitarre livide per poi aprirsi ad un mid tempo drammatico e ricco di presa emotiva.
L’ultimo brano “A new death is born” è una cavalcata dove il consueto doppio gioco vocale rende bene e non è tutto ci sono parti in screaming con impetuose accelerazioni che si infrangono su parti doom pulite gestite da riff circolari per poi tornare a picchiare veloce.
Che volere di più? Certe formazioni osannate all’estero pagherebbero oro sonante per scrivere così intensamente come i romani, bentornati e vanno direttamente nella mia top di fine anno.
Recensione a cura di Matteo Mapelli

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