Un buon punto d'incontro tra il Power Prog dei connazionali Lanfear o Poverty's No Crime e la proposta più Heavy degli austriaci Stygma IV e dei danesi Manticora, ecco cosa mi è venuto in mente al primo ascolto del quarto album degli
Ancient Curse.
Solo successivamente ho scoperto che questo quartetto tedesco affonda le proprie radici negli anni '80, infatti, erano entrati in azione addirittura nel 1985, seppur sino al 1987 come Bonebreaker, e dopo un paio di demo ed un EP, avevano realizzato il loro album d'esordio ("The Landing") solo un decennio dopo, nel 1997, e sempre nello stesso anno, forse per recuperare il tempo perduto (e anche qualche brano del loro passato), hanno addirittura replicato con "Thirsty Fields".
A questo punto la maledizione che li aveva ispirati nella scelta del moniker deve essere stata spezzata, così la formazione tedesca è sparita dalle scene per un paio di decenni ripresentandosi solo nel 2020 con l'album del comeback, quel "The New Prophecy" cui ora viene dato seguito proprio con "
Dimension 5".
Un lavoro sicuramente ambizioso e provante, tanto da mettere in evidenza qualche passaggio a vuoto, sia a livello esecutivo - ammetto di aver trovato qualche difficoltà ad entrare in sintonia con la voce sì potente ma vagamente sgraziata di
Pepe Pierez (anche chitarrista) - sia a livello di songwriting e arrangiamenti.
Infatti, dopo "
Forevermore", con i suoi delicati arpeggi che poi si arroventano miscelando Power e Thrash Metal, e la più cadenzata "
Ave Maria", che mi ha ricordato i Kamelot meno sinfonici, ecco che incespicano nelle strutture elaborate e striate della lunga (quasi dieci minuti) "
Isolation". Gli
Ancient Curse si fanno più sintetici, ma anche qui senza convincere del tutto, in occasione della successiva titletrack e poi si incattiviscono su una nervosa "
Deny and Destroy" che potrebbe rimandare ai Nevermore, anche se
Pierez non può certo reggere il confronto con (il compianto) Warrel Dane.
Il vorticante strumentale "
Tunnel Vision" non solo mette in risalto le qualità strumentali del quartetto, soprattutto quelle dei due chitarristi,
Gunnar Erxleben e il già citato
Pierez, ma soprattutto è il primo dei tre brani che fanno parte di una trilogia dove si incrociano i destini di un pilota della Marina USA e della nobile romana Lucrezia. Gli altri due capitoli si manifesteranno però solo dopo la malinconica e corale "
In Memoriam", sono l'ambiziosa suite "
Dreaming of Lucrecia", che sfora i quindici minuti di durata, scanditi dal drumming di
Matthias Schröderme e dove trovano sfogo tutte le pulsazioni Progressive degli
Ancient Curse che qui affrontano diverse soluzioni musicali e più stati d'animo, e infine "
Paranormal Coincidence", che altro non è che un outro acustico e orchestrale, lungo il quale si può quasi immaginare di veder scorrere i titoli di coda di "
Dimension 5".
Un album dove, a mio parere, in diversi frangenti gli
Ancient Curse si sono un po' complicati la vita da soli, con soluzioni fin troppo ardimentose e che alla resa dei conti hanno messo in risalto più i difetti che i loro pregi, che comunque non mancano e li rendono meritevoli di tutta la nostra attenzione.
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