Individuare fin dai primi mesi del 2025 un potenziale candidato per la
Top Playlist annuale è certamente un fatto di buon auspicio per il prosieguo della nuova stagione
rockofila.
D’altro canto, trattandosi del sesto disco degli
Avatarium, artefici di una parabola artistica in costante ascesa, non si può essere particolarmente “sorpresi” dall’evento, anche se, proprio per il livello della loro produzione discografica, un pizzico di “ansia” fatalmente colpisca anche il più fiducioso dei loro
fans.
Niente paura … come anticipato “B
etween you, God, the devil and the dead” è un altro gioiellino di “arte caliginosa” in cui si coagulano in maniera arguta
doom,
gothic,
folk e
hard-rock, a comporre un quadro sonoro fosco e coinvolgente, fedele ai “sacri dogmi” del settore e tuttavia avulso dai suoi più rigidi e pleonastici stereotipi.
L’albo, leggermente più “ortodosso” dei suoi recenti predecessori, si esalta ancora una volta grazie ad un
songwriting maturo e sufficientemente variegato e alle doti interpretative di una
band assai ispirata, capitanata da una voce, quella di
Jennie-Ann Smith, che funge da splendido catalizzatore dell’inquietudine e della tensione emotiva.
A tutti quelli che, eventualmente, si fossero mai chiesti in che modo “suonerebbe” una versione di
R.J. Dio al femminile, l’apertura affidata a
“Long black waves” sembra fornire un’esauriente risposta, enunciata attraverso un’autentica (in tutti i sensi …) celebrazione del tipico magnetismo Rainbow / Sabbath-
iano, declinato nella sua forma maggiormente evocativa e drammatica.
Con “
I see you better in the dark” il clima si colora di
blues e di melodie al tempo stesso cangianti e ammalianti, a dimostrazione che gli
Avatarium sanno distinguersi anche quando si tratta di frequentare quelle aree del
rock “classico” mai del tutto abbandonate e in tempi recenti divenute piuttosto affollate, mentre a “
My hair is on fire (but I'll take your hand)” è affidato il compito di far calare una coltre di desolante e trionfale tragedia sulla raccolta, appena rischiarata subito dopo da una “
Lovers give a kingdom to each other” intrisa dal
pathos ossianico delle antiche ballate pagane.
Gli intensi e irrequieti chiaroscuri di “
Being with the dead” conducono poi alle atmosfere incombenti e perniciose di “
Until forever and again” e alle cupe spirali strumentali di “
Notes from underground”, lasciando, infine, che sia la maliosa laringe di
Jennie-Ann a dominare le elegiache rarefazioni soniche della
title-track dell’opera, degna conclusione dell’ennesima attestazione di autorevolezza espressiva del quartetto scandinavo, sviluppata in un ambito stilistico dove riuscire a far convivere felicemente “rigore” ed “evoluzione” rappresenta un’impresa meritevole di un convinto e inalterato plauso.
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