Non so se esiste, nella sconfinata galassia delle diverse classificazioni stilistiche del
rock n’ roll, una “
musica da strip-tease”, ma qualora ci sia (e in caso contrario si potrebbe “istituire” …), credo che quella dei
Wildstreet dovrebbe farne parte di diritto.
Una collocazione che li vede, tra gli altri, in compagnia di Def Leppard, Poison, Warrant e Mötley Crüe, tutta “gente” che con i suoi
anthems spavaldi e seduttivi ha saputo riprodurre attraverso le note (e poi tramite le relative immagini … vedasi, ad esempio, il celeberrimo
video di “
Girls, girls, girls”) le atmosfere (gioiosamente) pruriginose di “certi locali”.
A questo punto credo sia abbastanza chiaro il “campo d’azione” del quartetto
newyorkese (e anche la foggia dei loro
nicknames può aiutare …), operante dal 2006 sulle orme tracciate dai grandi protagonisti dello
sleaze metal ottantiano, e artefice di quattro
album, l’ultimo dei quali uscito nel 2024 su Golden Robot Records.
Allo scopo di “preparare” il pubblico a novità discografiche, la loro attuale etichetta, la
Eonian Records, decide d’includere tutti i brani di “
Wildstreet” e “
Wildstreet II ...Faster ...Louder!” (i primi lavori dei nostri) in un unico doppio
Cd, arricchito da chicche inedite e da un
artwork aggiornato con testi, foto e storia della
band.
Una scelta che, ignaro dell’esistenza dei
Wildstreet, non posso che avvalorare, dacché “
Origins”, pur nella sua pressoché assoluta riproposizione di
cliché sonori ed estetici, appare parecchio godibile, tra cori rissosi e orecchiabili e insolenti pulsazioni melodiche, il tutto condito dall’immancabile corredo di
look aggressivamente ambiguo, a completare l’armamentario tipico del “
Bad Boy of R n’ R”.
Tutte prerogative condivise con miriadi di formazioni che, ai tempi, bazzicavano i
club del
Sunset Strip di Hollywood, molte delle quali finite per essere “fagocitate” dal
trend o dalla sfortuna (o dall’imperizia, pure …) per poi magari venire riscoperte in periodi in cui flussi imponenti di nostalgia e di scarsa creatività investono il settore.
Come anticipato, i
Wildstreet rimuovono gran parte dell’inevitabile patina caricaturale con la forza delle canzoni, esplosive e ammiccanti (“
Wanna get it on”, “
Hard on you”, “
Can't stop the rock”), virilmente romantiche (“
For so long”, “
Open up your eyes”) e
bluesy e sinuose ("
Shake it”, "
Poison kiss”, "
Easy does it”, “
Hot lixx” e “
Cocked & ready”, qualcosa tra i maestri AC/DC e i discepoli Kix), ma capaci al contempo di evocare immagini torbide e notturne (“
The fist of fury”, “
Soldier of love”, presente anche in una riuscita trascrizione acustica), magari vagabondando pensierosi tra i vicoli di una metropoli illuminata dalla luce livida dei
neon (“
Midnight gypsy”).
A completare la corposa proposta musicale, arrivano poi una
cover tanto
gigiona quanto gradevole (“
All the young dudes”), un paio di (superflue) stravaganze “classiche” (“
Bach invention #13”, “
Moonlight sonata”) e una traccia più recente (l’adescante “
Raise hell”, tratta da “
III”) che dimostra come nel tempo le prerogative espressive degli americani siano rimaste pressoché inalterate.
“
Origins” è un bel modo per fare la conoscenza dei
Wildstreet, una formazione da consigliare a chi subisce ancora il fascino del
rock n’ roll impertinente, selvaggio e dissoluto, adatto per fare festa in tante differenti situazioni, comprese quelle più “libertine”.