Il 2025 sarà ricordato per essere uno degli
Annus Mirabilis dell’
hard melodico?
Probabilmente sì, dal momento che già nei primi mesi abbiamo registrato parecchie meraviglie del genere, con aprile, in particolare, che sembra difficile da battere per concentrazione di soddisfazioni
rockofile.
A contribuire fattivamente a tale primato arrivano gli
H.E.A.T. con un nuovo disco che personalmente riesce nell’ardua impresa di superare le elevate aspettative che lo accompagnavano.
Che gli svedesi siano una delle punte di diamante dell’intero “movimento” non lo scopriamo certo oggi, così come non credo sia necessario sottolineare quanto il rientro del
vocalist originale
Kenny Leckremo, avvenuto in “
Force majeure”, sia stato accolto con entusiasmo dai
fans della
band.
Ebbene, benché il lavoro precedente fosse “fatalmente” un’eccellente “dimostrazione di forza” musicale, ritengo “
Welcome to the future” superiore dal punto di vista della carica espressiva, intensa ma decisamente più equilibrata, intrisa di una forma di grazia armonica che la allontana dal rischio di plastificata ridondanza o di forzatura
anthemica.
In realtà, un pizzico di tale “eccesso” è ancora riscontrabile, per esempio nel piglio proto
Accept-iano (!) di “
Tear it down (R.N.R.R.)”, e tuttavia anche in questo caso l’approccio risulta piuttosto razionale e genuino, oltre che assai efficace.
Per quanto riguarda il resto della scaletta,
beh, sfido chiunque ami questi suoni a rimanere indifferente di fronte all’avvincente “
Disaster”, con quell’andamento incalzante ormai da considerare un tipico marchio di fabbrica degli
H.E.A.T., o non fremere al cospetto della melodia virile e contagiosa di “
Bad time for love”, da consigliare innanzi tutto agli estimatori dei Rainbow “americani”.
L’inno “
Running to you” possiede un “tiro” melodico che, se ci fosse una “giustizia”, meriterebbe un’ampia diffusione radiofonica, e stessa sorte toccherebbe pure a "
Call my name”, alimentata da un
pathos accattivante e
soulful.
Con “
In disguise” e "
Paradise lost” il clima diventa più sinfonico ed enfatico, evocando nella memoria qualcosa tra Europe e Royal Hunt, e sempre a proposito di brani che i
melomani non possono proprio non adorare, ecco materializzarsi l’irresistibile "
The end”, frutto di una brillante interpolazione (di un tipo che potrebbe addirittura piacere anche a
Tobias Forge!) fra (primi) Bon Jovi e Toto, e l’accoppiata “
Rock bottom” e "
Losing game” che dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il ruolo seminale che gli Europe hanno svolto e svolgono tuttora nell’ambito del
rock scandinavo.
Contesto artistico in cui i nostri svettano in compagnia (tra gli altri) degli Eclipse, ed ecco che “
Children of the storm” e “
We will not forget” (con il suo
mood trionfale ed evocativo) finiscono per esaltare i cultori di entrambi i gruppi.
“
Welcome to the future” non è “temerario” come potrebbe lasciare intendere il suo titolo e ciononostante fotografa un “presente” galvanizzante per tutti gli appassionati delle melodie muscolari, adrenaliniche e affabili, connubio nel quale gli
H.E.A.T. sono certamente indiscutibili maestri.
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