Allora, vediamo un po’ … se dico Harem Scarem, W.E.T. e
Soul Seller, qual è l’intruso?
Beh, non è difficile immaginare il possibile responso dei lettori più “superficiali”, ma in realtà la risposta giusta a questo innocuo “giochino” è:
nessuno dei suddetti (proprio come in quel simpatico
film di parecchi anni fa intitolato “
Chi più spende... più guadagna!”).
Eh già, perché l’oggetto del contendere sono le mie aspettative per l’anno melodico in corso e sebbene per ovvie ragioni le carriere e il prestigio (anche “mediatico”) dei gruppi citati siano paragonabili con una certa difficoltà, personalmente attendevo questo “
Fight against time” con un analogo stato d’animo, basato su un percorso artistico in costante crescita espressiva.
Insomma, da questi rappresentanti sabaudi dell’
hard melodico “pretendevo” davvero tanto, e scoprire che la formazione rispetto al favoloso lavoro precedente aveva subito importanti rimaneggiamenti, rappresentava la prima piccola fonte d’inquietudine.
Le conferme di
Eric Concas, con la sua voce peculiare e comunicativa, e del fondatore
Dave Zublena, senza dimenticare il
drummer Italo Graziana, d’altra parte, garantivano una certa continuità con il felice passato di una
band che ha trovato, come ho scoperto fin dal primo contatto con l’opera, in
Alessandro Rimoldi,
Stefania Sarre e
Dale Sanders, eccellenti nuovi adepti alla “causa” dei
Soul Seller, votata alla conservazione dei principi fondamentali del genere senza per questo affidarsi a pavidi e sterili riciclaggi.
Arrivati (finalmente!) ai contenuti di “
Fight against time” le succitate “pretese” trovano immediatamente compimento grazie a “
One wasted paradise” fulgido esempio di un
hard melodico vibrante, raffinato e accattivante, all’occorrenza capace di adombrare lievemente le atmosfere sonore, come accade nell’ottima “
The sound of the last survivor” o di affidarsi, nella
title-track dell’albo e nella Def Leppard-
iana “
Autumn call”, a intelaiature “adulte” di notevole suggestione.
Chi preferisce soluzioni musicali maggiormente “dirette” troverà di che compiacere le proprie esigenze d’ascolto nell’inno “
City of dragons”, una sorta di fusione tra Scorpions e Hard Rain, mentre gli animi malinconici preferiranno crogiolarsi nel fascinoso clima notturno di “
I can't stand this heartbeat anymore”.
Arrivati a “
Angel of desire”, nonostante la bella
verve creativa del brano, si assiste ad un piccolo calo nella compattezza armonica, e se lo
slow “
Fallen kingdom” risolleva l’attenzione attraverso una forma di romanticismo “classico” ma ben congeniato, “
Silent war” ritorna a puntare, in maniera magari appena un po’ troppo ordinaria, sull’impatto immediato delle pulsazioni del
rock duro britannico.
“
Feel alive again” riaccende la scintilla dell’inventiva “consapevole” evocando nella memoria una specie di
jam-session tra Toto, Scorpions e Journey, e anche le successive “
Falling stars” e “
Alice” tentano, con esiti piuttosto intriganti, di “personalizzare” i dogmi dei tipici suoni “radiofonici”
ottantiani.
“
The black raven” è l’omaggio a Rainbow e Deep Purple con cui la
band piemontese decide di esaurire la corposa (troppo?) durata di “
Fight against time”, un disco che non delude i suoi più “esigenti” estimatori e tuttavia mostra qualche infinitesimale sintomo di diluizione, uniformità e sbiadimento di quella formula espressiva che aveva collocato senza alcun indugio “
Matter of faith” ai vertici di categoria.
La fruizione (reiterata) dell’
album è comunque alla fine assai appagante e la sua valutazione in termini artistici rimane molto elevata, nella speranza che i flebili
warning di un indebolimento ispirativo siano solo un eccesso di zelo patito da chi investe i
Soul Seller di un’enorme responsabilità … schiudere, assieme a pochi altri eletti, nuovi orizzonti in una "scena" che vive primariamente di rassicuranti nostalgie.