Ci son cascato di nuovo … e no, non mi riferisco al “temerario” testo di un personaggio che solamente chi è affetto da otopatologie degenerative può definire un “genio” della musica contemporanea.
La mia ammissione di “colpevolezza” riguarda il nuovo capitolo della trilogia “
Spiritual revolution” dei
Sailor Free, ancora una volta (era già successo con i primi due …) “sfuggito” al mio attento monitoraggio della scena locale, con un particolare
focus riservato a quegli artisti che considero particolarmente significativi e propositivi.
Per chi, come il sottoscritto, ammira il
prog-rock “mutante” (anzi, siamo di fronte a uno dei pochi casi in cui la definizione “
art-rock” è pienamente calzante …) dei romani fin dagli esordi, tale mancanza di attenzione è davvero “inspiegabile” e solo un pronto recupero della situazione può in qualche modo emendare l’insopportabile “senso di colpa” che mi attanaglia.
Il tutto, per di più, alla luce del fatto che, come prevedibile, l’albo è un’altra straordinaria commistione di suoni, inquietudini e visioni, capaci di attingere dal
prog, dalla
dark-wave, dalla musica elettronica e dal
grunge, confermando quella vena ispirativa eclettica e “libera” che nel tempo ha saputo rinnovarsi pur conservando un’innata coerenza espressiva.
Atmosfere sonore impregnate di umori diversi e arrangiate con la consueta ricchezza strumentale vi faranno balenare nella memoria lampi di Pink Floyd, Depeche Mode, Porcupine Tree,
Bowie, Ultravox e A Perfect Circle, ma la realtà è che per i
Sailor Free ribadire la propria “diversità” è un’esigenza primaria che l’opera trasmette fin dal primo contatto.
Nelle pieghe di un viaggio sempre emotivamente intenso e “imprevedibile” (una cosa di questi tempi veramente insolita …) troverete i chiaroscuri e gli impeti improvvisi di “
Incognito”, le fosche e pulsanti orchestrazioni di “
All I need”, l’enfasi cupa e visionaria di “
The ghoul within” e ancora una ballata avvolgente e “spigolosa” dal titolo “
So beautiful”, il tutto miscelato in un crogiolo di note e suggestioni perfettamente equilibrato e incisivo.
In mezzo a tanti fantomatici “progressisti”, alla prova dei fatti spesso prolissi e presuntuosi,
David Petrosino e i suoi sodali si qualificano anche quando raccolgono in maniera più esplicita l’eredità dello
psych-prog e di certo
kraut-rock nel clima melodrammatico e nelle scorie esotiche di “
Not for me”, mentre con “
Let me in” l’esposizione sonora si arricchisce di immaginifiche nevrosi elettroniche, di un tipo che verosimilmente piacerebbero persino a
Trent Reznor.
Le architetture musicali al tempo stesso ardite e adescatrici di “
Disappear” (il
break di
sax è da “brividi” …) sanciscono ulteriormente la superiorità ispirativa di una formazione che in “
Gambling” si affida nuovamente a un registro stilistico drammatico, mistico e solenne e con lo strumentale “
The watcher” trasporta l’astante in un soffice universo disseminato di ipnotiche fluorescenze, un ambiente perfetto per soddisfare le esigenze sensoriali di tutti gli
psiconauti all’ascolto.
Intrigante e “spiazzante” per tensione e alterità, “
Spiritual Revolution part. 3” conferma l’essenza artistica di una
band che si distingue per virtù specifiche, cultura e creatività, per nulla arrendevole alle “mode” … una rarità, insomma, di cui “dimenticarsi” è davvero inqualificabile.