Contro ogni (mio) pronostico.
Contro ogni (mia) più rosea previsione.
Contro ogni (mia) aspettativa.
Dopo essere incappati in due intoppi non da poco: l'abbandono di
Andy Gillion ed il poco felice (eufemismo) lavoro del 2022 "
Liberate The Unborn Inhumanity", i
Mors Principium Est con "
Darkness Invisible" (nono full della carriera e primo con la label nipponica
Victor) assestano un sonoro ceffone dritto in faccia a chi (primo tra tutti il sottoscritto) ne aveva celebrato le esequie in frettoloso anticipo.
E la cosa bella è che per fare un album di livello così superiore al precedente
Ville e soci non hanno dovuto inventarsi niente; hanno guardato indietro ai loro (ottimi) lavori passati ("
Inhumanity" o "
The Unborn") e ne hanno recuperato lo spirito e le dinamiche.
Così "
Darkness Invisible" si è rivelato il perfetto esempio di come andrebbe suonato il death melodico: due chitarre che cesellano riffs assassini impreziosendoli con trovate melodiche di classe, una sezione ritmica che tira come un rimorchiatore e linee vocali intinte nel cianuro.
Ognuna delle 10 tracce - 8 a dire le verità, escludendo i brevi passaggi cinematografici di "
Tenebra Latebra" e "
An Aria of the Damned" - è potenzialmente un singolo trainante, un brano da desiderare in sede live.
L'opener "
Of Death" nel breve volgere di 5 minuti cancella tutti i dubbi generati dal precedente album, restituendoci (e restituendomi) i
MPE al massimo del loro splendore: chitarre ispirate al servizio della canzone e mai fini a sè stesse, drumming furente ed un
Ville Viljanen mai così velenoso e cattivo.
"
Venator" prosegue nel medesimo solco, impreziosito da synth in sottofondo che danno al brano quel leggerissimo tocco sinfonico da sempre trademark del gruppo di Pori; e poi "
Monuments", solo apparentemente più calma, baciata da un lavoro sopraffino delle asce di
Haukio e
Kokko e da un songwriting eccelso.
Tutto questo ci conduce in un soffio al cuore pulsante e nero di "
Darkness Invisible", la doppietta "
Summoning the Dark"/"
Beyond the Horizon", i due pezzi migliori dell'album e due tra i più belli mai scritti dalla band: nessuna concessione a facili ritornelli o melodie banali ma furia, disperazione, oscurità profuse a piene mani.
"
The Rivers of Avernus" è l'unico anello debole di una catena pressochè perfetta, un brano piuttosto debole (rispetto ai precedenti) e con un ritornello dall'incedere troppo solare e festaiolo rispetto al mood di tutto il disco.
"
In Sleep There is Peace" e "
All Life is Evil" in chiusura tornano a fare la voce grossa e, anche se con spruzzate sinfoniche più generose, regalano alcuni degli assoli migliori dell'intero album.
Mentre l'anno volge al termine i
MPE battono un colpo talmente forte da non poter passare inosservato e realizzano il miglior disco del genere di tutto il 2025: un esito sorprendente proprio perchè davvero inaspettato.
"
Devo riconoscertelo bellezza, è odio allo stato puro quello che ti tiene in pista"
cit.
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