Dopo la pubblicazione di
"Osculum Obscenum" nel 1993, e il rilascio dell"EP
"Inferior Devoties", gli
Hypocrisy subiscono l'uscita dalla line-up del singer
Masse Broberg, che di lì a poco, nel 1995, entrerà a far parte dei
Dark Funeral sotto il nome di
Emperor Magus Caligula. È dunque
Peter Tägtgren, che già si era perso in carico anche la seconda chitarra – visto l'abbandono di
Jonas Österberg dopo il rilascio di
"Penetralia" –, ad assumere integralmente la postazione al microfono, ruolo che comunque sia in alcune tracce aveva già ricoperto nei primi due album.
Ed è così, come semplice terzetto, che gli svedesi giungono nel 1994 al loro terzo full-length:
"The Fourth Dimension", rilasciato come tutti gli altri tramite la
Nuclear Blast.
"The Fourth Dimension" segna uno spartiacque sia per la direzione stilistica del gruppo, che, conseguentemente, per molti dei suoi fan.
Quelli erano gli anni in cui in Svezia, e in generale in tutta la penisola scandinava, a una prima generazione del Death Metal fedele alla brutalità delle origini (pur presentando già alcune varietà leggermente più armoniose e orecchiabili), iniziavano a inserirsi numerose melodie culminanti, infine, nel sottogenere del Melodic Death Metal, grazie a band come
At the Gates,
Dark Tranquillity,
In Flames, ecc.ecc.; sperimentazioni melodiche che invece su un'altra schiera di formazioni andavano a lambire i lidi del Doom, in alcuni casi in misura più delicata, in altri più opprimente e feroce. A noi interessa oggi, prevalentemente (ma non solo), la sfaccettatura più melodica, ovvero quella che ben si sposa con le propaggini della fucina inglese rappresentata da
My Dying Bride,
Paradise Lost e
Anathema. Bensì, a onor del vero, anche la Svezia era uno dei fuochi principali, con formazioni quali
Tiamat,
Katatonia e
Cemetary, giusto per citare i nomi più significativi.
Ed è proprio al crocevia tra Melodic Death, Death / Doom melodico dai tratti gotici, e l'old-school a stelle e strisce che ha caratterizzato i primi due dischi (retaggio del periodo da turnista di
Peter negli USA), che va a collocarsi il terzo album degli
Hypocrisy, e da qui si deve principiare per dischiuderne il senso.
Premesso che io sono un amante delle sonorità dure, e dunque resto più affezionato ai primi due lavori di
Tägtgren, vi è da asserire che obbiettivamente, a mio avviso, trova realmente una sua identità, raggiungendo il suo zenit artistico / compositivo, proprio con
"The Fourth Dimension" e il successivo
"Abducted" (1996).
In questa terza fatica, gli
Hypocrisy miscelano abilmente le suddetti correnti di cui abbiamo appena fatto menzione, in misura differente in ognuna delle varie tracce. Talvolta è la matrice Death / Doom a essere prevalente, talaltra quella vecchio stile di fattura statunitense; oppure è il cosiddetto Gothenburg sound a emergere (cromia che prenderà ancora più corpo nel successivo LP), o, come si può ben dire, ascoltando canzoni dal retrogusto Thrash come
"Reborn", una giusta miscela delle ultime due.
Il fattore più sorprendente è notare come sia cresciuta, in soli due anni, l'abilità in fase di songwriting degli svedesi, riuscendo a stemperare con eleganza l'irruenza degli esordi; avvolgendola con un abito intessuto con l'oro nero, raffinato tramite una poetica decadente che scorre fluida per quasi tutta l'opera: un'alchimia toccante l'acme in brani come l'introduttiva
"Apocalypse", la
"Title-track" con i suoi squisiti solos scaldati dal cuore pulsante dell'Hard Rock e del Gothic Rock; o nei lirismi aggressivi di
"Never to Return" che si dissolvono in vere e proprie clean vocals.
Tuttavia, come già accennato, non sono esenti momenti grintosi e carichi di mordente, si pensi al mid-tempo denso di rallentamenti asfissianti di
"Path to Babylon", dove si evidenzia come gli
Hypocrisy siano ancora legati alla vecchia guardia; o a brani più spediti sulla scia di
"Orgy in Blood", in cui brutalità e armonia, inseriti in un dinamismo dialettico, superano la loro antitesi naturale, e potremmo continuare così ancora a lungo… Bensì, non possiamo non menzionare il gelo siderale e le sinuosità armoniche e sinistre di
"The North Wind".
Avviandosi alla conclusione della nostra trattazione, è doveroso portare lo sguardo anche al cambio di sfera concettuale dei testi, i quali non risultano più incentrati sul semplice satanismo o tematiche affini, bensì gravitano intorno alla dimensione del paranormale e agli abissi oscuri dell'introspezione.
"The Fourth Dimension" non può vantarsi di aver inventato niente, soprattutto dato che già esistevano le proposte di cui abbiamo disquisito durante la nostra esposizione; altresì, non giunge certo con grandissimo ritardo... E inoltre possiede il pregio di coniugare violenza, poesia, costrutti orecchiabili e molteplici sfumature dell'estremo con grande disinvoltura.
La prima metà degli anni '90 sono stati anni irripetibili per la materia oscura… Riscoprire la reliquia degli
Hypocrisy non può far altro che riconfermarlo.
Recensione a cura di
DiX88