"Heavy duty: la mia vita nei Judas Priest" di K.K. Downing

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Pubblicato il:27/09/2020
Per chi ha passato da qualche anno come il sottoscritto gli “anta”, i Judas Priest hanno rappresentato una tappa obbligata nella formazione musicale del giovane metallaro. Se all’epoca ci fosse stata una ipotetica guida all’ascolto, il quintetto britannico ne avrebbe occupate pagine e pagine.
E come potrebbe essere altrimenti? il contributo dato dai Judas Priest alla creazione dell’Heavy Metal è imprescindibile, album dopo album, hanno forgiato col loro sound unico intere generazioni di artisti che hanno seguito la rotta da loro tracciata.

E’ dunque con estrema curiosità che mi sono approcciato alla lettura di “Heavy duty: la mia vita nei Judas Priest”, la biografia del biondo chitarrista del Prete di Giuda, K.K. Downing, scritta con l’ausilio di Mark Eglinton e fresca di stampa grazie all’attivissima Tsunami.

Se già siete avvezzi alle biografie, saprete che la parte iniziale è completamente dedicata alla loro infanzia, giovinezza e adolescenza e a tutte le problematiche ad essa collegate e, ovviamente, il buon K.K. non costituisce eccezione a questa regola.
Così come molti altri artisti nati negli anni successivi alla fine della II Guerra Mondiale – il mio pensiero corre a Lemmy, Peter Hook, Pete Townshend ma la lista è più lunga – vivere l’infanzia nelle plumbee periferie abitate dalla working class del Regno Unito non è deve esser stata una passeggiata. Se alle privazioni, al freddo, alla mancanza cronica di denaro aggiungete anche il peso di crescere in una famiglia a dir poco disfunzionale con un padre, fobico e posseduto dal demone del gioco d’azzardo capirete perché K.K. Downing insiste nell’indicare l’ambito famigliare come luogo di nascita delle insicurezze che si porterà lungo tutta la sua vita e che, in un modo o nell’altro, finiranno per condizionare anche la carriera dei Judas Priest.

Non è ovviamente mia intenzione spoilerarvi eccessivamente sul processo che ha portato alla prima incarnazione della band, alla formazione della line-up dei tempi d’oro, al superlativo successo degli anni 80, passando dall’addio e al ritorno di Rob Halford e giungendo fino all’abbandono da parte di K.K. della propria creatura nel 2011 – la lettura è godibile, scorrevole e vien voglia di passare al capitolo successivo per sapere come va avanti – ma non posso esimermi dall’indicare alcuni passaggi importanti emersi durante lo sfogliare delle pagine.

Innanzitutto l’amore viscerale per Jimi Hendrix! La musica di Hendrix è il deus ex machina! Ciò che spinge un giovanissimo K.K. Downing ad imbracciare la sua prima sei corde e a passare ore ed ore per imparare e migliorarsi sempre di più.
Poi il rapporto di amore/odio con la sua controparte sul palco Glenn Tipton. Sarebbe interessante sapere cosa ha pensato Glenn di ciò che ha messo nero su bianco K.K., perché il biondo chitarrista si toglie diversi sassolini dalla scarpa – in alcuni casi direi macigni – accusandone esplicitamente i comportamenti (spalleggiato dalla manager Jayne Andrews) che, secondo lui, hanno impedito ai Priest di diventare ancora più grandi e famosi.
Certo non mancano gli aneddoti relativi alle avventure in tour, agli screzi con alcuni colleghi (Iron Maiden in particolare ai quali ha sempre invidiato la figura di Rob Smallwood), alla immancabili vicissitudini in sala registrazione (e nei locali notturni a portata di radar) ma soprattutto si percepisce quanto e come l’Heavy Metal avesse preso piede negli Stati Uniti nell’aureo decennio degli anni 80, quando una intera generazione album dopo album perse la testa per il sound graffiante dei Judas Priest e soci.

Ovviamente una parte del libro – e non potrebbe essere altrimenti - è dedicata all’assurdo processo che la band subì nel 1990 quando venne accusata di aver condotto al suicidio due adolescenti tramite l’inserimento di messaggi subliminali contenuti nella canzone “Better By You, Better Than Me” contenuta in “Stained class”. A 30 anni di distanza la questione dell’inserimento di messaggi subliminali nelle canzoni suonate all’incontrario ci strappa più di una risata (perché mai una persona sana di mente dovrebbe girare i propri lp all’incontrario ancora non lo capisco), ma all’epoca anche alle nostre latitudini non mancavano “personaggi” che ottennero visibilità con queste ciarlatanerie.

Se devo trovare un appunto da fare, questo riguarda lo spazio dedicato al periodo dei lavori “Jugulator”/”Demolition” quando subentrò “RIpper” Owens al dimissionario Rob Halford: secondo me viene trattato un po’ troppo frettolosamente, quasi non volesse soffermarsi in maniera troppo approfondita.
In attesa di leggere la versione dei fatti raccontata da Rob Halford in “Confess” , “Heavy duty” è uno di quei libri da leggere tutto di un fiato, in cui i propri ricordi dell’epoca inevitabilmente finiranno per sovrapporsi a quelli di K.K. Downing. Ovviamente è consigliatissima la compagnia degli immortali classici dei Judas Priest in sottofondo per rendere il giusto tributo ai Metal Gods!

K. K. Downing con Mark Eglinton
“Heavy duty: la mia vita nei Judas Priest”
Collana I Cicloni
290 pagine + 16 di foto in b/n ISBN-13 : 978-8894859362
Euro: 22.00
Tsunami Edizioni
http://www.tsunamiedizioni.com/

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