Scream For Me: Rob Halford

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Pubblicato il:27/03/2023
Con un'estensione vocale pari a circa 4 ottave, Rob Halford è tra i cantanti metal più influenti di tutti i tempi. Icona omosessuale e istrionico nei suoi abbigliamenti ed atteggiamenti divenuti un vero marchio di fabbrica per tutti i metallari ( il chiodo borchiato e le sue entrate spettacolari sul palco a bordo della sua motocicletta ), ha sorpreso un po' tutti abbandonando la nave Judas Priest per avventurarsi in una carriera solista. Con quali risultati, lo vedremo fra breve.

"Scream for me, scream for us, Rob!"

Fight: War Of Words (1993 Epic)

I Fight sono il progetto solista che Halford mette in piedi nel 1993 dopo la fuoriuscita dai Priest dell'anno prima.
Insieme a Scott Travis ( ex band mate ) incidono un disco che è un mix fra metal alla Priest e un thrash/groove alla Pantera ma purtroppo, a parere di chi scrive, il risultato finale non è certo dei migliori.
Le canzoni sono pesanti, legnose, non scorrono via e risultano un po' troppo ostiche nonostante vari ascolti.
L'iniziale "Into The Pit" ci illude col suo tiro veloce e "Nailed To The Gun" è un roccioso mid tempo che si fa ascoltare, ma dopo l'interesse va scemando man mano.
"Immortal Sin" e la titletrack sono difficili da assimilare, non si capisce bene in quale direzione si voglia andare ("Kill it", "Viscious") .
Se queste canzoni fossero apparse su un disco a nome Judas Priest, le avremmo giudicate come quelle del periodo Tim Ripper Owens, un flop.



Fight: A Small Deadly Place (1995 Sony)

Il successore di "War Of Words" non risolleva le sorti di un progetto (i Fight appunto) mai decollato.
Se il debut del 1993 almeno aveva il beneficio del dubbio (e della sorpresa), il successore non porta nulla di nuovo, anzi il suono è ancora più cupo ed ermetico. La componente "groove" è ancora più evidente in brani quali "Mouthpiece" o "Legacy Of Hate" ed il verso ai Pantera è palese, ma probabilmente con Halford questo pare un po' avulso dal contesto di riferimento e spesso la componente danzereccia balza in primo piano nonostante un suono complessivamente metal ("Blowout In The Radio Room").
Tutto da buttare allora?
Non proprio, qualcosa di buono c'è (la titletrack e "Beneath The Violence" hanno un buon tiro) ma risulta difficile assimilare questi mid - tempo groovosi nu metal pensando che l'autore ha sfornato capolavori del calibro di "British Steel" ma lontani anni luce.



Two: Voyeurs (1998 Nothing Records)

Penso e spero che questo disco sia stato nelle intenzioni di Halford un semplice esperimento bizzarro.
Dopo lo split dei Fight (non proprio un tentativo ben riuscito questa band ) era difficile far peggio ma il buon ROB ci è riuscito.
"Voyeurs" é un mix assurdo di techno - pop - industrial senza una direzione precisa ma soprattutto senza forza.
Le canzoni sono mosci tentativi di emulare i Ministry e Marilyn Manson ma il risultato finale è come un colpo di fucile a salve.
Le canzoni non decollano, si fa fatica ad arrivare alla fine con delle vocals di Halford assolutamente prive si qualsiasi estensione o potenza.
Pezzi da salvare solo "Strutter Kiss" (niente a che vedere col classico dei Kiss) che almeno unisce il chorus con una ritmica ben riuscita e "Leave Me Alone" che cela una certa potenza.



Halford: Resurrection (2000 Metal Is Record)

Diciamolo pure, fa un certo senso vedere Rob Halford in qualcosa che non sia legato ai Judas Priest.
Nessun cantante come lui è così legato ad un gruppo, neanche Bruce Dickinson e RJ Dio alle rispettive bands ( per molti infatti Paul Di Anno e Ozzy sono rispettivamente i “veri” frontman dei Maiden e dei Black Sabbath ).
Halford, invece, è sempre stato considerato l’esponente principale dei Judas e difatti il loro periodo con Rip Owens è stato dimenticato dai più.
Ecco che quindi vedere “Resurrection” uscire col nome HALFORD stampato in primo piano senza nessun rimando al suo gruppo di appartenenza - neanche un “featuring singer of Judas” ad esempio -, ha lasciato un po' tutti a bocca aperta.
Certo i dissidi del periodo coi compagni erano noti, il flop di "Turbo" è l'inizio di un periodo zeppo di problemi che portano Rob ad allontanarsi dalla band madre, ma questa svolta solista non si spiega ad esempio nè con una volontà di affermarsi (Halford non doveva mostrare niente a nessuno) nè con un cambio di indirizzo musicale posto che il debut solista omonimo è un disco che suona Judas al 100%, con pezzi che avrebbero potuto trovare spazio in un qualsiasi album del gruppo. Citerò solo alcuni pezzi del lotto – vere bombe di classix Metal – quali “Made in Hell”, la titletrack o “Locked And Loaded", passando per la rasoiata di “The One You Love To Hate” con addirittura Bruce Dickinson (!) alle vocals. Tutto già sentito, si, ma niente riempitivi, in “Resurrection” il metallo cola rovente.



Halford: Crucible (2002 Metal Is Record)

"Crucible" è a mio parere un passo indietro rispetto al debutto di due anni prima.
Pur non disconsandosi infatti dal tipico trademark Priestiano, il disco risente di un songwriting non particolarmente ispirato con canzoni spesso legnose e pesanti.
Accanto ad alcuni colpi ben assestati come la velocissima "Betrayal" che apre alla grande il lavoro e che ricorda un po' "Painkiller", "One Will" dal chorus da cantare live, "Handing Out Bullets" dal riff schiacciasassi e dal solito lavoro vocale sublime di Halford e l'oscura titletrack, troviamo pezzi insulsi quali la ballad "In The Morning", la lenta e sabbathiana "Golgotha" che però non lascia il segno, il mattone indigesto "Heart Of Darkness" e una simil ballad come "Crystal" o ancora la prolissità di una "Fugitive".
Meglio la più incisiva "Wrath Of God" ma a conti fatti pare che Halford non abbia focalizzato il songwriting, spaziando fra classix metal e tentazioni più moderne.



Halford III: Winter Songs (2009 Metal God Enterteinment)

Dite la verità, ma chi di noi non ha storto un po' il naso di fronte a questa uscita del Metal God?!
Una carrellata di canzoni natalizie in salsa metal opportunamente ri-arrangiate da Halford stesso e Roy Z, suonate con perizia condotte dall'ugola d'oro di Rob.
Di natalizio le canzoni hanno ben poco se non per il fatto di essere già conosciute come strenne del periodo, infatti, l'opener "Get Into The Spirit" ha la verve dei migliori Judas con un suggestivo bridge centrale e solo ficcante . Peraltro è proprio il suono delle chitarre e i solos - si senta quello funambolico in "We Three Kings" ad esempio - che danno una marcia in più al disco, disco che anche nei momenti più spiccatamente natalizi non perde la giusta carica pur presentando momenti estremamente melodici ("The Winter Song").
A conti fatti, un lavoro dalle tinte sorprendentemente rock'n'roll ("I Don't Care") suonato egregiamente e che non annoia neanche il defender più accanito sempre che ci si approcci ad esso senza pregiudizi.
In chiusura poi un' epica rivisitazione di "Venite Adoremus".
Lavoro da riscoprire.



Rob Halford With Familly & Friends: Celestial (2019 Legacy)

Dieci anni dopo "Winter Songs" ecco Halford tornare a battere i terreni natalizio - religiosi e anche questa volta il risultato finale spiazza ma non delude.
L'impronta metal è sempre ben presente e addirittura Bob chiama a sé il fratello Nigel alla batteria, il nipote Alex al basso e la sorella, insomma un family tribute.
Resta la domanda se valeva la pena un secondo capitolo di canzoni natalizie e se questo è un sentito omaggio alla festa cattolica per eccellenza oppure una furbesca manovra commerciale. Musicalmente ci sono dei pezzi di sicuro effetto e di buona fattura come le metalliche "Donner And Blitzen", "Joy To The World" e "Deck The Halls" (forse il pezzo più duro e prestiano del lotto con un pregevole e lungo solo) accanto ad altri più tradizionali e tranquilli più vicini allo spirito natalizio come la ballad "O Little Town Of Bethlehm" o l'atmosferica "Away In a Manger".


Articolo a cura di Marco ’Metalfreak’ Pezza

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