Copertina 7

Info

Anno di uscita:2004
Durata:52 min.
Etichetta:Frontiers
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. ARYON OVERTURE
  2. STAINED (GONE)
  3. THE MORNING AFTER (TIME TO RUN)
  4. MOTORCYCLE MESSIAH
  5. SHINE
  6. BLISS
  7. IF FOR ONE MOMENT
  8. FLAME OF THE ORACLE
  9. THE OOZE
  10. INNER CHILD (EXORCISE)
  11. BLACK MOUNTAIN
  12. KEEP ON BREATHIN'
  13. SHINE (FINALE)
  14. RAPTURE (ODE TO ARYON)
  15. MANIAC

Line up

  • Terry Brock: vocals
  • Randy Jackson: guitar
  • Jon Bivona: guitar, bass
  • Mark Hermann: bass, guitar
  • Mark Mangold: keyboards, drums, vocals

Voto medio utenti

Se c'è un genere musicale che prosegue imperterrito ed immutato la propria esistenza da circa tre decadi, è senza dubbio l'hard rock melodico. Dove gli altri filoni hard o metal hanno vissuto trascorsi tormentati e circoscritti nel tempo, con clamorosi picchi di popolarità e repentini crolli fino ai limiti della sparizione, questo stile raffinato e romantico ha invece attraversato gli anni con andamento pacato e costante, sfornando una moltitudine di formazioni pressochè identiche e blindando la propria nicchia di appassionati, numericamente poco folta ma assai competente e dall'età media piuttosto elevata.
Il prologo serviva a far intuire una certa difficoltà a districarsi, e per una band ad emergere, in un settore che si è dato regole estremamente rigide e consolidate che i musicisti tendono ad interpretare tutti nella medesima maniera.
I The Sign sono invece riusciti a godere di piena visibilità alcuni anni orsono grazie al debutto "Signs of life", acclamato dalla stampa specializzata e dai fans del genere, i quali ne hanno decretato un certo successo di vendite.
La formazione è un progetto ideato dal tastierista Mark Mangold, ben conosciuto nell'ambiente per i trascorsi con Touch, American Tears, Drive She Said, che ha trovato sostegno nel chitarrista Randy Jackson (Zebra) e nell'esperto e rodato vocalist Terry Brock. Il terzetto rappresenta la colonna portante del gruppo e si ripresenta compatto per questo seguito, mentre la sezione ritmica è stata interamente cambiata. Al posto di due nomi famosi come Billy Greer e Bobby Rondinelli sono arrivati i meno conosciuti ma altrettanto validi Jon Bivona e Mark Hermann, rispettivamente alla chitarra ed al basso, mentre alla batteria si è piazzato lo stesso Mangold.
Malgrado le peripezie di line-up il gruppo conferma tutte le tematiche musicali e concettuali del disco d'esordio, infatti come il precedente anche questo è strutturato come concept-album, incentrato sulla figura di una ragazza, Aryon, la quale si risveglia improvvisamente da un lungo e profondo stato di coma. I brani raccontano la sua storia ponendo attenzione alle varie fasi emozionali e per rendere meglio l'idea di un unico filo narrativo le canzoni sono collegate da brevi interludi, in modo di non spezzare il flusso musicale e l'atmosfera della vicenda.
In generale non si tratta del solito lavoro class rock a caccia del singolo vincente, la singola qualità delle canzoni è buona ma la sensazione è che si sia puntato più sulla compattezza e sull'equilibrio di un album da giudicare e da vivere nel suo insieme.
Musicalmente si coglie l'influenza di gruppi come Journey, Touch, Toto e perfino Kansas, evidente la cura maniacale con la quale si è lavorato sugli intrecci vocali, assai maestosi e carichi di passione, ma si rivela anche ottimo l'accostamento tra brani più hard-oriented e le numerose ballate sentimentali, dal taglio adulto e sempre sostenute da un forte pathos melodico.
Per quanto riguarda gli episodi graffianti, spiccano i riffs decisi e robusti di "Stained" e "Motorcycle messiah" nelle quali troviamo eccellenti ricami solistici di Jackson, ed ancora meglio l'orecchiabile "Flame of the oracle" con uno dei migliori ritornelli del disco, ma soprattutto la Zeppeliniana "Black mountain" un tostissimo e raffinato hard settantiano come raramente capita di scoprire all'interno di lavori di questo tipo.
Dal lato più morbido scelta altrettanto ampia, buona la dolce "The morning after" con interessanti cambi di tempo, il levigato pomp-rock "If for one moment", stupendo il lento acustico "Keep on breathin" con una struggente interpretazione di Brock e delicati arrangiamenti vocali, ed ancora l'ambiziosa e magniloquente "Shine (finale)" una sorta di mini-opera Aor sinfonica che farà felici gli amanti del melodic rock più barocco.
In definitiva per i The Sign si tratta di una positiva conferma di quanto espresso al debutto, con meno immediatezza ma stesso livello di ricerca melodica e tematica. Un album di buona varietà, a tratti anche grintoso, a riprova se ve ne fosse ancora bisogno che non occorre per forza essere melensi e lagnosi per produrre valido rock melodico.

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