Copertina 7

Info

Anno di uscita:2023
Durata:45 min.

Tracklist

  1. SIRENS
  2. HATE ADVOCACY
  3. MONEY TALKS
  4. FREEDOM
  5. ABUSE
  6. NO COUNTRY FOR WOMEN
  7. IN THE NAME OF CULTURE
  8. REGICIDE
  9. DYSTOPIAN REIGN

Line up

  • Pritam Goswami Adhikary: vocals
  • Aditya Swaminathan: guitars
  • Rishin Dharap: guitars
  • Saurabh Lodha; bass
  • Rahul Singh: drums

Voto medio utenti

L’India continua a stupirci e a tirar fuori band thrash metal, una più valida dell’altra. Da cosa dipenda questo amore sviscerato degli indiani per il thrash non so spiegarvelo, fatto sta che lo masticano con fierezza e competenza, e a me basta questo.

Stavolta vi presento i Kill The King, quintetto che proviene da Pune, Maharashtra (ammesso che qualcuno di voi sappia dove si trova, io no di certo…) e che, dopo la pubblicazione di un paio di singoli in digitale, tira fuori il suo primo full length, che, per essere autoprodotto, suona davvero bene. Potente, nitido, si fa ascoltare senza problemi, proponendoci 3/4 d’ora di thrash metal old school che però non disdegna una strizzatina d’occhi a qualche sonorità più moderna, e, in alcuni casi, più hardcore, se non altro come approccio.

Diciamo che in più di qualche momento mi sono venuti in mente i nostrani Extrema ascoltando i Kill The King, appunto per quell’attitudine più hardcore, mista ad un sound più moderno, pur restando, la proposta, molto legata ai dettami degli anni ’80, dal punto di vista strettamente musicale. Niente di eclatante all’orizzonte, eh, chiariamo… ma la musica dei nostri risulta abbastanza varia ed interessante, presenta ottimi spunti e si capisce che, pur essendo l’album di esordio, i nostri la sanno giù lunga dal punto di vista compositivo. I brani sono vari ed articolati, quasi sempre veloci, sicuramente rocciosissimi, e la prova strumentale è di ottimo livello, anche quella del singer Pritam Adhikary, graffiante e potente, supportata alla grande dalle classiche gang vocals, che riempiono e supportano la sua performance.

Se proprio devo andare a trovare il classico pelo nell’uovo, ho notato che nonostante le variazioni compositive e la fantasia dei nostri, i brani avrebbero funzionato sicuramente meglio se fossero stati quel filo più corti. L’album sarebbe stato sicuramente più snello e l’ascolto ne avrebbe giovato. Ma ripeto, lo sottolineo giusto per pignoleria, è un peccato veniale che in un debutto ci può stare senza nessun problema…

Non vi segnalo nessun brano in particolare. Sono tutti allo stesso livello, non ci sono picchi, non ci sono cali. Ma ci tengo a spendere due parole per lo strumentale “No country for women”, poco meno di tre minuti in cui la band tira fuori tutta la sua maestria. Ho sempre amato gli strumentali, forse perché negli anni ’80 si trovavano spesso e volentieri negli album migliori, o forse perché, come ho già scritto qualche altra volta, devi avere le palle per scriverne uno che funzioni davvero, quindi li considero come una sorta di prova di forza. Beh, i Kill The King hanno superato anche questo esame…
Recensione a cura di Roberto Alfieri

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