Il Re è morto... viva il Re.
Il settimo album dei Sabaton, "Carolus Rex", è uscito appena un paio di mesi dopo che la formazione svedese ha visto stravolgere la propria line-up, con i soli Joakim Brodén e Pär Sundström a tenere la posizione.
Ad ogni modo, sul disco ha suonato quella formazione che abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare nel corso degli ultimi anni, quindi non ci dovremmo aspettare chissà quali novità.
E, infatti, i Sabaton sono facilmente riconoscibili, sia per il vocione di Joakim Brodén sia per il sound pompato ed enfatico che contraddistingue le loro composizioni, inoltre non hanno dimenticato la propria propensione per le battaglie, l'onore e la gloria, per quanto qui messa al servizio di un concept incentrato sui principali avvenimenti del periodo storico di quello che fu l'Impero Svedese, fondato da Gustavus Adolphus Magnus (Re di Svezia tra il 1611 ed il 1632), figura alla quale è, giustamente, stata riservata la prima vera canzone dell'album: "The Lion from the North".
Tuttavia, su "Carolus Rex" l'impatto ed anche quell'ingenua irruenza che avevano fatto intravedere nelle precedenti uscite finiscono in secondo piano a favore di brani che si rivelano più cadenzati e caratterizzati da passaggi melodici e largamente corali, che godono dell'ottima produzione di Peter Tägtgren (che si propone anche come guest vocalist su "Gott Mit Uns"), ma anche meno immediati e travolgenti, una scelta che alla resa dei conti finisce per snaturare un po' i Sabaton, almeno per come li conoscevamo finora.
"Carolus Rex" resta comunque un buon album, e non escludo che quegli stessi aspetti che il sottoscritto ha criticato si rivelino invece un valore aggiunto per altri.
Oltre alla versione in inglese, quella che mi è stata sottoposta per questa disamina, di "Carolus Rex" ne è stata realizzata una seconda cantata in svedese, ed è inoltre disponibile anche un'edizione limitata con entrambe le due versioni ed arricchita da tre bonus tracks, tutte cover di gruppi ben distanti musicalmente dai Sabaton: Amon Amarth ("Twilight of the Thunder God"), Status Quo ("In the Army Now") e Rammstein ("Feuer Frei").
E forse ci hanno ficcato dentro un po' troppe cose per un solo album...
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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