All'interno del mondo musicale il recupero delle migliori sonorità e della filosofia rock settantiana è da alcuni anni una realtà inconfutabile. Se da una parte un vasto pubblico, perlopiù composto da giovanissimi, continua a spingere per avere stili sempre più estremi, violenti e modernisti, dall'altra si è creato un movimento forte non più solo di ingrigiti nostalgici che ambisce ad attualizzare le vibrazioni generate dai fenomeni rock del passato.
In questo ambito troviamo stabilmente vitale la magmatica galassia stoner ed i filamenti ad essa collegati come la nuova ondata heavy-psych, il rigenerato southern o il devastante acid-doom. Esistono però anche formazioni che molto semplicemente e senza bizzarre miscele si limitano a proporre classico, onesto, tradizionale hard rock, cogliendo gli spunti di coloro che questo storico genere hanno reso immortale, siano essi i Grand Funk, i Led Zeppelin, od ancora la grande "famiglia" Purple con i suoi vari eredi Rainbow, Whitesnake, Warhorse, ecc.
Tra questi sinceri emuli degli anni d'oro emerge ora una realtà nostrana : i Bullfrog.
Power-trio di Verona, attivi dal '93, dopo anni di gavetta e di cover debuttano con "Flower on the moon"(Andromeda 2001) chiarendo subito l'assoluta devozione ai classici con nove scintillanti hard-songs più una cover dei misconosciuti Moxy (antica band Canadese, il loro ritorno sulle scene fu una delle mie prime recensioni per Metal.it..).
Ora è tempo di secondo album per gli scaligeri, e nuovamente occorre elogiare il trio per un prodotto che esalta le migliori caratteristiche dell'hard rock. Riffs tosti e di buona fantasia con una certa pulizia di fondo che li rende immediati senza levigature plastificate, energiche pennellate bluesy e funky, molta cura nelle melodie robuste ed anthemiche, assoli continui e ficcanti ma concisi e funzionali alle canzoni, discreta fase vocale adeguatamente grintosa e sempre facilmente assimilabile. Un manuale del perfetto rocker al quale si aggiunge l'inconfondibile atmosfera vintage, il tocco di vera e genuina passione che differenzia gli interpreti di uno stile dai semplici ricalcatori senz'anima.
Il disco si presenta giustamente vario e ricco di situazioni differenti com'è tradizione dell'hard rock fin dalla sua nascita, si passa scioltamente dall'irruenza muscolare di "Sundance" alla solarità gioiosa di "Supersister", con un bel feeling funkeggiante, attraversando placidi e sensuali episodi rockblues come "Morning creeping" e "Slow bottom", pieni di tensione da palude e sferzate solistiche di Silvano Zago. E' chiaro che i Veneti conoscono a fondo la materia, non cadono nell'errore di replicare qualche schema vincente e puntano invece a dare identità e carattere ad ogni singola canzone, così trovano posto per alcuni brani potenti e trascinanti come la title-track dal ritornello irresistibile o la svelta e tirata "Kissin'Mary Lou", che saranno certamente i fulcri dei concerti futuri, ma c'è spazio anche per i cuori romantici ai quali sono dedicati gli ottimi lentacci old-school "Rain on me" e soprattutto la conclusiva "I'll be gone", stupendo slow da commozione in odore di ZZTop.
Inevitabile che affiorino a tratti citazioni conosciute, vedi la Zeppeliniana "Boz's walk", ma la personalità dei Bullfrog non si esprime certo con acrobazie sperimentali bensì con un'interpretazione corretta e passionale del genere, la ricerca di una "purezza" rock arcaica per molti ma indispensabile per chi è stufo di veder snaturare e brutalizzare uno stile ultratrentennale.
"The road to Santiago" è semplicemente un ottimo disco hard rock, e senza cercare in luoghi esotici se volete musica scolpita nella tradizione seventies la trovate in casa nostra grazie ai Bullfrog. Soprattutto non dimenticate di gustarveli dal vivo, dove sono certo esploda la loro essenza più ruvida e genuina.
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