È inutile negarlo, al di là dei propri sacrosanti gusti musicali, ci sono alcune band nella storia del rock e del metal che hanno una marcia in più, non ci stanno santi, e tra queste ci sono sicuramente gli
Helloween. Trent’anni di carriera, quindici album in studio, numerosi cambi di line up, ma nulla è riuscito ad intaccare il loro valore artistico, pur se con qualche inevitabile calo qua e là (vista la lunghezza della loro vita come band). Ed è per questo che mi ero avvicinato al nuovo “
Straight out of Hell” con qualche dubbio, perché non pensavo affatto di trovare i nostri in una forma così clamorosa. Sì, perché il quindicesimo album delle zucche di Amburgo è veramente un signor disco. Tornati dopo pochissimo tempo dalla pubblicazione di “
7 Sinner” negli ormai noti Mi Sueno Studio di Tenerife, Weiky e company c’hanno dato davvero dentro, partorendo un album completo e articolato che non potrà non piacervi. Certo, aprire il disco con “
Nabataea” è abbastanza coraggioso, visto che si tratta di un brano lungo (sette minuti) e complesso, che mette in bella mostra fin da subito tutto quello a cui gli Helloween c’hanno abituati in tanti anni di carriera: melodia, velocità, cambi di tempo, cori maestosi, assoli da manuale, piccole sperimentazioni… nel suo flavour generale mi ha ricordato un po’ “
Revelation”, tratta da “
Better than raw”, e più in generale proprio questo disco è quello che mi è venuto più spesso in mente durante l’ascolto, il che non è un male, visto che lo considero un po’ l’apice della seconda giovinezza della band.
E a rafforzare fin da subito le buone impressioni avute arriva “
World of war”, classico pezzo power metal sparato a mille, con le tipiche melodie delle zucche ben in evidenza, che fa trasparire come sia ancora tanta la voglia della band di divertirsi e soprattutto far divertire. “
Live now!” sposta invece il tiro verso una sorta di hard rock, altra cosa tipica dei dischi dei nostri. Questa alternanza power/hard rock, infatti, è sempre stato uno dei loro punti di forza, senza scordare i brani più lenti e di atmosfera, in questo caso “
Hold me in your arms” (non un capolavoro, a dirla tutta), che finiscono di arricchire la proposta generale. Interessante l’intermezzo “
Wanna be God”, che porta alla mente i
Queen, e che altro non è che un divertissement che introduce la titletrack, che col suo andamento dinoccolato è senz’altro un’altra highlight dell’album. Ma le sorprese non sono certo finite qui, in quanto altre chicche ci aspettano, tra cui, in ordine sparso, “
Make fire catch the fly”, “
Burning star”, presente anche in una ‘Hammond version’ (dedicata a
Jon Lord) come bonus track dell’edizione limitata, o la conclusiva “
Church breaks down”, aperta da un organo da chiesa e un coro molto suggestivi, prima che la batteria di
Dani Loble irrompa e la melodia delle due asce si impossessi della scena.
Che dire… tredici brani (più due bonus track), di cui solo un paio leggermente più fiacchi, ma non per questo brutti, ci riconsegnano una band in forma smagliante, con Deris ormai definitivamente a suo agio, con buona pace per chi ancora spera in un ritorno di Kiske, la sezione ritmica più affiatata che mai, e Wecky che giochicchia col compare Sasha Gerstner ed è sempre più padre padrone di quella che inevitabilmente può essere considerata la sua creatura, fin dall’abbandono del buon vecchio zio Kai.
Chi ha contribuito alla formazione del nostro amato genere musicale, prima con sprazzi più speed e poi con melodie decisamente power, dimostra ancora una volta di essere (insieme ai Gamma Ray dell’appena citato Hansen) decisamente al di sopra dei propri colleghi, riuscendo sempre a rimettersi in gioco, senza però snaturare quella che è l’ossatura del proprio sound.
“
Straight out of Hell” è senz’altro una delle prime bombe di questo 2013, e entra già da ora di diritto nella mia top ten di fine anno, pur essendo solo a Gennaio...