Una raccolta di idee, spunti, riff e testi accantonati in anni di esperienza: questa pare che sia la genesi di
Raise The Curtain, ossia ufficialmente del primo album solista di
Jon Oliva.
Un disco attesissimo dai migliaia di fan sparsi in tutto il mondo, che sicuramente troverà ampio consenso e riporterà l’attenzione verso un artista assoluto, un genio musicale pazzesco, che con le proprie canzoni ha nobilitato gli ultimi 30 anni di storia dell’heavy metal.
Un’attesa giustificata anche da una copertina estremamente evocativa, che non ha fatto altro che accrescere la smania dei fedelissimi e la curiosità di tutti.
Ebbene, sappiatelo: quando sentirete certe canzoni non riuscirete a trattenere pensieri e rimpianti verso una band che non c’è più e che tanto ha dato alla musica che amiamo. Perché questo album trasuda Savatage da ogni parte, soprattutto quei Savatage che dalla fine degli anni ’80 pubblicarono dischi epocali e inarrivabili.
Dunque perché otto e mezzo e non quindici, vi chiederete voi? Beh, perché qualche distinguo va fatto. E siccome sono solito dare il voto anche pensando alla discografia di chi lo pubblica, direi che in mezzo a tanti 10 e 9, questo credo sia il valore ottimale per Raise The Curtain: un gran bell’album, tra i top di questo 2013, inferiore ai capolavori assoluti del passato ma non per questo da trascurare.
Prima di giungere alle conclusioni, però, un rapido track-by-track può aiutare ad entrare nel merito con maggiore efficacia.
Raise The CurtainLunga intro progressive in cui suggestivi cori e parti strumentali si alternano, dal sapore decisamente seventies (quindi ottimo), dalla durata di ben cinque minuti.
Soul ChaserRiff aggressivo su cui il vocione di Jon non tarda ad arrivare. Ritornello che riporta ai Savatage di fine anni ’80, ottima parte centrale e pezzo heavy che in generale funziona alla grande.
Ten Years La canzone ricorda certi ritmi cadenzati sentiti spesso anche nei Jon Oliva’s Pain, con quel gusto teatrale tipico del songwriting di Jon, che caratterizza tutto quanto il brano fino al pomposo finale.
Father TimeInizio spiazzante, con un ritmo funk trascinante plasmato da buoni stacchi nella parte centrale. Un’altra, incredibile, faccia di Oliva torna a fare capolino con autorità. Finora si procede alla grande.
I Know Arriva la prima ballad e chi (come me) sentendo il pianoforte inizierà a piangere di gioia dovrà necessariamente fare i conti con una track non proprio epocale e abbastanza altalenante, con momenti da ricordare e altri meno efficaci.
Big Brother Ci si muove ancora su territori metal, esattamente quelli sentiti in apertura di album. Territori che Jon conosce alla perfezione e in cui risulta sempre maestro.
Armageddon Teatralità alla massima potenza per una canzone particolare ma intrigante, in cui tutto il gusto di Oliva per le soluzioni stilistiche di un certo tipo può esplodere.
SoldierSeconda ballad, più canonica ed evocativa. Il testo sembra ottimo, con pianoforte e strumenti a fiato a creare un tappeto melodico rilassante, sicuramente un buon brano, forse solo un po’ troppo lungo.
StalkerRitmi arabeggianti in apertura e negli stacchi, strofa nervosa e sofferta che tanto riporta alla mente gli antichi fasti del Mountain King. Una canzone non facile da assimilare ma davvero bella.
The WitchIntro di pianoforte che lascia in fretta spazio a un riff solare e a una canzone ancora una volta perfettamente in linea con il passato più metalloso di Jon ma anche con l’anima più progressiva. Sicuramente da annoverare tra i pezzi migliori del disco.
Can’t Get AwayCi si muove in territori blues/soul, su sonorità in cui la vocalità sofferta di Jon è davvero da brividi. Un brano inusuale ma estremamente piacevole.
The Truth Bonus track acustica e delicata, dal sapore folk. Un regalo graditissimo e cullante, che chiude degnamente il disco.
Dunque, come avete letto, di brani da dimenticare proprio non c’è l’ombra. Un songwriting vario in cui però ci si rende conto di avere il marchio Oliva impresso a fuoco su ogni nota.
C’è anche qualcosa che manca, però: i grandi assoli di chitarra e una ballad da standing ovation. Cose non di poco conto quando si naviga in queste acque. Soprattutto, cose a cui siamo abituati e, dunque, ancora più necessarie. Ma il sentimento che un fan di Oliva prova a contatto con certe sonorità, con certi riff, con certi ritornelli è bruciante e fortissimo. Se manca qualcosa poco importa, perché la gran parte di ciò che serve comunque c’è e va assaporato con tutta la calma che merita.
Di fronte a un tale sfoggio di classe, ennesimo centro di una carriera che nemmeno la sfortuna e gli eccessi sono riusciti a mettere in ombra, non si può fare altro che levarsi il cappello, applaudire e tirare fuori il portafoglio, perché questo è un album da comprare.
State attenti, però, perché correte il rischio di ritrovarvi con un pensiero fisso.
Come vi dicevo in apertura, infatti, è un disco che trasuda Savatage. E testimonia una voglia che cresce. Una voglia che ha fatto capolino nell’ultimo tour dei Jon Oliva’s Pain, con una scaletta in cui i capolavori del passato sono stati protagonisti incontrastati. Una voglia che in tutti noi non si è mai sopita.
Chissà mai che questo sia il passo decisivo verso un ritorno da brividi.
Per ora non possiamo fare altro che goderci Raise The Curtain…ma il desiderio proibito di tutti noi riprenderà forza. E stavolta faticherà parecchio a lasciare la nostra mente.