In un periodo di altisonanti ritorni in ambito estremo,
Autopsy e
Carcass si tutti, dei quali evito di parlare per decenza, l’album dei
Gehenna giunge come un qualcosa di inaspettato e in atteso, ma in fondo neanche tanto bramato viste le ultime opere della band. Detto che il periodo “death” della band è abbondantemente alle spalle, i Gehenna dell’ultimo periodo erano un gruppo allineato, senza molta fantasia, alla moda del black metal moderno a la
Satyricon, altra band sulle cui ultime fatiche è doveroso stendere un velo pietoso, e da li continuano il loro vivacchiare all’interno della scena…sono passati ben otto anni dall’ultima fatica
“WW” , ed era lecito aspettarsi un cambiamento ed in effetti qualcosa è cambiato, ma quando giungerete alla fine dell’ascolto di questo
“Unravel” vi chiederete se quelli che avete ascoltato sono i
Gehenna o piuttosto due band dei nostri giorni agli esordi…Perché dico questo? Semplicemente perché l’album è praticamente diviso in due parti, da un lato ci sono i pezzi come l’opener
“The Decision” ,
“A Grave Of Thoughts” o la conclusiva
“Death Enters” , tutti pezzi cadenzati dalle sonorità cupe e plumbee avvicinabili ad un certo depressive black metal che in alcuni momenti sfiora il addirittura il funeral, mentre dall’altro troviamo dei brani più tirati e diretti come
“Nothing Deserve Worship” ,
“Nine Circles Of Torture” e
“Lead To The Pyre” , dove seppur in misura meno evidente rispetto al precedente album, vige ancora l’ombra della band di Satyr e sembra di trovarsi di fronte a delle songs “avanzate” dalle session di
“WW”. I quasi 41 minuti di quest’album si trasformano un po’ in una sorta di summa di quanto di meglio, o forse sarebbe più giusto dire, più comune, possiamo trovare all’interno della scena estrema oggigiorno. Sul finire del 2013 non mi aspettavo certo che la musica estrema subisse uno scossone dalla band norvegese, ma sinceramente visti i fasti passati, non mi sarei mai aspettato di trovarmi di fronte ad un qualcosa di così anonimo, scontato, superficiale, banale e forse anche affrettato, ed è un vero paradosso se pensiamo ai tempi di gestazione dell’album. E’ da un po’ che mi frulla in testa la convinzione che questi gruppi del passato farebbero molto meglio a rimanere avvolti nel loro alone di gloria piuttosto che dare l’impressione di voler raggranellare ancora qualche momento di visibilità, meglio se condito da un po’ di vile denaro, visti i tempi di vacche magre per l’industria discografica e la bassa qualità della proposta. Non si può parlare di delusione perché, almeno per me, mancava la componente dell’attesa, ma, per essere politically correct, diciamo che
“Unravel” non entrerà in nessuna classifica di fine anno, se non per la copertina, questa si meritevole, magari da ammirare sulla cover di un vinile. Promossi con riserva (che sa di condanna)…
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