Quando una band storica diffonde sul mercato un nuovo disco non può che nascere una grande attesa, non solo da parte dei fans di lunga data, ma anche dall'intera audience metallica. È questo il caso dei
Grave Digger, band germanica con alle spalle trent'anni di carriera e capolavori dell'heavy come
Heart Of Darkness,
Tunes of War,
Knights of the Cross,
Excalibur, ecc. I teutonici hanno ispirato generazioni di metallers di tutti i generi creando un personalissimo stile, guidato soprattutto dall'ugola di
Chris Boltendahl, non spostandosi praticamente mai da esso, al massimo inserendo qualche inedita sfumatura. Con questo nuovo
Return of the Reaper le premesse vengono rispettate, il combo tedesco si dimostra compatto e roccioso come al solito, stendendo composizioni quadrate e potenti, rimanendo letteralmente nel loro camposanto. Sì, perché ancora una volta non si segnalano contaminazioni di alcun tipo, e questo da una parte può essere un pregio, ma dall'altra un grande difetto. Eppure negli ultimi anni i
Grave Digger si erano dimostrati in grado di mettere a segno buoni colpi, come
Liberty or Death o il pregevole
Ballads of a Hangman, seguitando nel loro percorso, non ricorrendo ad alcun artefatto. Con
Clash of the Gods qualcosa aveva invece iniziato a scricchiolare, evidenziando gli inevitabili segni del tempo dovuti ad un naturale (seppur lieve) deterioramento musicale. Quel penultimo disco arrivava ad una sufficienza striminzita, con pezzi ridondanti e talvolta piatti, mentre quest'ultimo, per fortuna, mostra una maggior presa già dal primo ascolto. Con tutta probabilità, rispetto a
Clash of the Gods, in
Return of the Reaper c'è un più intenso attaccamento ai grandi dischi del passato e quando i teutonici richiamano i loro antichi dèi sono ancora capaci di creare della grande musica. Questo tuttavia non è bastato ai
Grave Digger per comporre un album memorabile, piuttosto lo si potrebbe classificare nell'ordinario (da sottolineare che
ordinario per i beccamorti tedeschi significa sopra alla media per una qualsiasi band più recente).
L'atmosfera mietitoria si instaura da subito nel nuovo album, con l'oscura intro
Return of the Reaper, che riprende la
Marcia Funebre di Chopin (n.2 op.35), dando poi il via ad una traccia possente, ovvero
Hell Funeral, divisa fra l'heavy ed il power, attaccata al deutsch metal odierno, tra il trionfante e l'aggressivo.
Chris Boltendahl è sempre lui, roco ed epico, come il chorus della canzone.
Hell Funeral potrebbe essere il manifesto di questo nuovo lavoro dei
Grave Digger, significante della ricerca di quel mood di difficile raggiungimento, concentrato più sulla potenza e meno sul ragionamento. La conferma arriva con la successiva
Wargod, altra traccia possente, dove la lode si assegna alla sezione ritmica ed agli assoli di chitarra. Con
Tattoed Rider ci si sposta su un'influenza ottantiana (richiamante probabilmente i primi lavori della band teutonica), il pezzo, pieno di energia, si fa apprezzare per l'orecchiabilità e si da per quasi certa la riproposizione in sede live.
Resurrection Day riporta i
Grave Digger all'usuale proposta di impetuosità, facendo risaltare ancora la capacità di martellare della sezione ritmica.
Season of the Witch, brano scelto per il primo lyric video di
Return of the Reaper, toglie il piede dall'acceleratore, esaltando l'epicità e i riff graffianti. Il chorus è il vero punto di forza del pezzo ed anche qui ci sarebbe da scommettere su un suo inserimento nella setlist delle prossime date del gruppo.
Road Rage Killer torna sui canoni delle canzoni precedenti, puntando tutto sulla forza e l'impatto sonoro, mentre
Grave Descrator, rockeggiante ed incisiva, possiede un ritornello da headbanging adornato da un testo gravediggeriano per eccellenza.
Satan's Host riporta in auge l'antico metallo di stampo
Motorhead, legandosi quasi al New Wave of British Heavy Metal. Da sottolineare il grande lavoro sia del basso che della batteria, ma da non sottovalutare pure lo straordinario
Axel Ritt alle chitarre. Divertente è l'aggettivo che possiamo assegnare a
Dia De Los Muertos, sia per il testo che per la musica, un gran chorus e riff rocciosi accompagnano lo scorrere di questi quattro minuti.
Death Smiles At All Of Us, aperta da una parte di piano, non si discosta poi molto dalla trama di
Return of the Reaper, puntando tutto sulla capacità di presa del chorus sull'ascoltatore e sul gran lavoro di riffing.
Nothing to Believe è una ballad che chiude l'album in maniera epica e drammatica allo stesso tempo, dove il chorus troneggia ancora una volta sul resto.
In conclusione, questa nuova fatica dei
Grave Digger si pone nel limbo della discografia del gruppo, sopra alla mediocrità di
Clash of the Gods, ma sotto alla grandiosità dei dischi più celebrati. È lecito aspettarsi ancora qualcosa in più dai mietitori teutonici o questo è oramai il massimo che essi possono dare al Metal? Per personale opinione credo che, al pari di altri metal gods, anche i
Grave Digger risentano degli acciacchi del tempo, ma che, magari fra un paio d'anni, essi possano uscire con un nuovo capolavoro.
Lyric video di Season of the Witch
Video di Hell Funeral