AVVERTENZE
Non usare per trattamenti protratti. Dopo breve periodo di trattamento senza risultati apprezzabili, consultare Gianluca Grazioli. Poiché, in qualche soggetto dai gusti estremi, il prodotto potrebbe causare una leggera spossatezza e sonnolenza si consiglia particolare attenzione nella guida di veicoli e nella manovra di macchinari.
EFFETTI INDESIDERATI
Raramente segnalati nausea e altri lievi disturbi gastrointestinali, spossatezza e/o astenia, sonnolenza, torpore, cefalea e vertigini. In tali casi interrompere il trattamento e consultare Gianluca Grazioli per istituire idonea terapia (uno/due ascolti di "Ghost Reveries" potrebbero essere sufficienti).Una piccola premessa scherzosa per lanciare un messaggio semplice e chiaro: nostalgici degli
Opeth "che furono" state pure alla larga da questo (notevolissimo)
"Sorceress". La band svedese, oggettivamente, non ha più nulla a che fare con la scena estrema che ha contraddistinto le sonorità dei suoi esordi discografici. C'è chi l'ha capito e l'ha apprezzato (penso di far parte di questa categoria) e chi non se ne farà mai una ragione (molti miei colleghi che, anche nel recente passato, non hanno perdonato a
Mikael Akerfeldt e soci le nuove scelte stilistiche).
Quello che è certo è che al leader scandinavo di quello che pensano gli altri non gliene frega proprio una mazza, e va avanti per la sua strada più convinto che mai. Il cambio di label (da
Roadrunner a
Nuclear Blast) poco conta dato che, di fatto, l'etichetta teutonica altro non fa che distribuire l'album prodotto dalla casa discografica creata dalla band stessa (la
Moderbolaget Records).
Se
"Pale Communion" aveva messo meglio a fuoco le intuizioni dei "nuovi"
Opeth di
"Heritage",
"Sorceress" punta ancora più in alto, allargando lo spettro delle fonti da cui attingere per la composizione dei nuovi brani.
L'inizio è in punta di piedi: le chitarre acustiche, il mellotron e la voce recitante di
"Persephone", preludono a
"Sorceress", traccia che avevamo già apprezzato ma che mi aveva un po' disorientato. Suoni caldissimi, chitarre di memoria sabbathiana e un
Mikael Akerfeldt incisivo e in grande spolvero sono segnali inequivocabili della piega che prenderà da qui a poco il full-length. La coda strumentale (un po' debole) della titletrack sfuma in
"The Wilde Flowers", brano che rielabora le melodie tipiche della "Scuola di Canterbury" (del resto il titolo lascia poco spazio alla fantasia, rimando a Wikipedia per approfondimenti) in salsa heavy, con un finale fortemente debitore del nostro prog italiano più roccioso (penso a Museo Rosenbach, band di cui
Akerfeldt ha la maglietta in tutti i trailer dell'album, e Balletto di Bronzo).
"Will O The Wisp" sembra essere uscita direttamente da
"Aqualung" o da
"Thick As A Brick", tanto ricorda il sound della band di
Ian Anderson (e in questo sta forse il suo unico limite oggettivo dato che, in sé, la traccia scorre che è un piacere).
"Chrysalis" (che è stata anche un'etichetta di prog inglese tra le più rinomate e prolifiche, ndr) torna in territori heavy a cavallo tra Rainbow e Uriah Heep, con uno splendido duello Hammond/chitarra a impreziosire il tutto. Le sonorità morbide di
"Sorceress 2" ricalcano quanto ascoltato in
"Persephone" e anticipano un'altra splendida composizione, la strumentale (almeno in buona parte) e orientaleggiante
"The Seventh Sojourn" (omaggio ai Moody Blues? mah..) che vede la partecipazione di
Wil Malone (Black Sabbath tra gli altri) in veste di arrangiatore/orchestratore.
"Strange Brew" è forse il brano più elaborato del lotto, dove convivono pacificamente atmosfere alla
"The Lamb Lies Down On Broadway", hard-prog di scuola Goblin/The Trip e una spruzzata di blues. Discorso simile si può fare per
"A Fleeting Glance", a base di atmosfere medievaleggianti, melodie beatlesiane, aperture alla Wishbone Ash e unisoni sincopati tipicamente opethiani.
"Era" è tra gli episodi più spinti (con tanto di inaspettati accenni di doppia cassa), e gli arrangiamenti vocali ricordano una volta di più Uriah Heep e simili.
"Persephone (Slight Return)" altro non è che la coda di
"Era", un minuto di pianoforte filtrato e voce recitante a chiudere definitivamente il sipario.
Mi spiace per i detrattori più accaniti, ma artisticamente parlando questi cinque ragazzi si sono dimostrati nuovamente dei finissimi rilettori di musica d'altri tempi "a rischio estinzione". Sarò sincero, non ci avrei scommesso un euro ma per quanto mi riguarda gli
Opeth hanno fatto centro ancora una volta.