Copertina 7

Info

Anno di uscita:2019
Durata:60 min.
Etichetta:Napalm Records

Tracklist

  1. ONE LIFE
  2. WOULDN'T YOU RATHER
  3. IN THE DEEP
  4. GODSPEED
  5. NATIVE SON
  6. TAKE THE CROWN
  7. INDOCTRINATION
  8. THE BITTER END
  9. PAY NO MIND
  10. FOREVER FALLING
  11. CLEAR HORIZON
  12. WALKING ON THE SKY
  13. TEAR US APART
  14. DYING LIGHT

Line up

  • Myles Kennedy: vocals, guitar
  • Mark Tremonti; guitar
  • Brian Marshall: bass
  • Scott Phillips: drums

Voto medio utenti

Dopo le scorribande soliste e non dei due leader Tremonti e Kennedy, ecco tornare gli Alter Bridge.
Un ritorno aperto a solarità, positività e melodia; la cover dice già tutto con quella figura femminile alata che sta per librarsi nell’azzurro cielo.
Difatti i brani sono quasi tutti pervasi di una rabbia “serena”; il dittico “Woluldn’t you rather” e “In the deep”, sono brani rocciosi, ma con aperture melodiche che saltano fuori nel chorus; la band può certamente contare su due cavalli di razza come il riffmaker italoamericano e il biondo singer dalla voce calda e potente.
Ci sono anche brani in odor di Aor come “Godspeed” dal giro di tastiera ottantiano e inconfondibile; altri brani come “Native son” e “Clear horizon” hanno un ritmo killer e trascinante.
Tutto bene dunque? Insomma, non proprio, perché i quattro hanno confezionato un disco dove i filler e i momenti debolucci ci sono e a mio parere troppi.
Perché come giudicare un album di quattordici brani, quattordici per un totale di sessanta e passa minuti dove la maggior parte sono mid tempo; ma non è tutto, spesso ho l’impressione che la ricerca forzata della melodia, del ritornello da cantare a tutti i costi risulti forzato o telefonato.
Forse e non troppo forse, la band ha l’obbiettivo non tanto sbagliato di voler raggiungere un’audience più vasta, dove le sonorità dure non sono la prassi o vengono toccate poco; il voler puntare alla classifica levigando il suono e renderlo potabile ci sta tutto per carità, ma sarà vera gloria?
Citando il sommo Freak Antoni, ai posters l’ardua sentenza.
Recensione a cura di Matteo Mapelli

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