Ci sono gruppi che travalicano i generi e lasciano un segno indelebile nella storia della musica, nel nostro caso della musica metal. Tra questi ci sono senz’altro gli
Helloween, che aldilà dei gusti personali rientrano di diritto nel gotha delle metal band del pianeta, questo penso sia inconfutabile. È per questo motivo che il loro nuovo album, significativamente intitolato semplicemente “
Helloween”, come a voler sottolineare la chiusura del cerchio, è senz’altro uno dei dischi più attesi, nel bene e nel male, di questo 2021.
Quando un gruppo storico si lascia convincere a fare la tanto agognata reunion, il rischio che ci si trovi di fronte ad una mera mossa commerciale è effettivamente molto alto. Nel caso specifico poi, dopo tutto il veleno sputato da entrambe le parti durante gli anni, il dubbio era ancora più forte. Io però sono abituato a non giudicare sulla base del pregiudizio, per cui nel 2017 me ne sono volato a Bratislava per assistere al loro show, e devo dire di aver trovato una band non solo in formissima dal punto di vista tecnico, ma anche molto affiatata, e, cosa più importante, l’idea che mi sono fatto è quella di sette persone che hanno trovato di nuovo la voglia di divertirsi.
Promossi in sede live, quindi, li aspettavo al varco con la prova in studio. Gli interrogativi erano molti: chi avrebbe prevalso a livello compositivo,
Hansen o
Weikath? E a livello vocale? Sarebbe stato
Deris, di fatto il singer della band da più di venticinque anni, ad occuparsi della maggior parte delle strofe o il rientrante
Kiske? E
Kai? Si sarebbe ritagliato un suo spazio anche alla voce oltre che alla composizione? Ma soprattutto, come avrebbe suonato il disco? Sulla falsa riga degli ultimi
Helloween, ci sarebbe stato un ritorno al passato o addirittura ci sarebbero state influenze alla Gamma Ray?
Beh, partirei proprio da quest’ultimo punto: se qualcuno di voi si aspettava un ritorno ai due
Keeper… (il terzo lasciamolo stare che è meglio…) o, addirittura e in maniera quanto meno utopistica, alle sonorità di “
Walls of Jericho”, rimarrà decisamente deluso, in quanto lo stile dell’album è perfettamente in linea con quanto proposto dalla band negli ultimi anni, c’è solo, in più, una maturità compositiva incredibile ed una cura maniacale degli arrangiamenti, che questa volta fa davvero la differenza. E di conseguenza anche zero Gamma Ray, tanto che, devo ammetterlo, si fa fatica a riconoscere la penna dello zio
Kai, mi sarei aspettato un apporto maggiormente significativo e marcato. Ed anche a livello vocale, purtroppo, i suoi interventi sono davvero minimi, mentre ho apprezzato tantissimo, così come dal vivo, il dualismo
Deris/
Kiske, che non solo riescono ad alternarsi in maniera perfettamente funzionale, ma spesso e volentieri si doppiano e si danno man forte nei cori (anche con l’aggiunta di
Hansen), vero punto di forza dell’album, e d’altra parte sarebbe stato un peccato non sfruttare al meglio tre voci del genere.
I brani sono tutti bellissimi, sono incalzanti, non ci sono cali di tensione significativi, c’è sempre una sorpresa dietro l’angolo che ti colpisce, o un refrain che ti entra in testa già dal primo ascolto. La band è in forma strepitosa, spinge che è un piacere, per quanto mi riguarda la sensazione che mi trasmettono i pezzi è quella di un urlo liberatorio, come se tutta questa energia spigionata fosse esplosa all’improvviso lasciando fluire naturalmente, e senza costrizioni, tutto quanto di magistrale sono in grado di comporre i nostri: melodie vocali stupende, assoli meravigliosi (ascoltarli nelle parti all’unisono mette i brividi oggi come allora), riff pungenti, ritmiche fantasiose (incredibile, come sempre, il lavoro di
Grosskopf, bassista sopraffino e troppo spesso sottovalutato). Insomma, tutto è al proprio posto, esattamente dove doveva essere da una vita e dove finalmente ha trovato collocazione.
“
Helloween” è il miglior disco delle zucche degli ultimi anni? Probabilmente si, anzi, sicuramente, e ve lo dice uno che ha apprezzato tantissimo sia “
Straight out of Hell” che “
My God-given right”, per cui non sto facendo un discorso da nostalgico, anche perché, come ho già detto prima, di ‘antico’ non c’è assolutamente nulla, il disco suona fresco, suona moderno, suona in linea con lo stile ultimo dei nostri, quindi vagonate di melodie, molte parti accattivanti, e anche alcuni passaggi quasi al limite del pop, ma questa non è certo una novità.
Non ho dubbi nell’affermare che si tratti di un disco di altissimo livello che seppellirà qualsiasi uscita power metal non solo del 2021, ma degli anni a venire, un disco dove tutto è stato calibrato e ponderato in maniera maniacale, dalla composizione alla produzione completamente analogica (incredibile come siano riusciti a bilanciare tre voci, tre chitarre e la sezione ritmica in maniera quasi perfetta, senza che nessuno sovrasti l’altro o che qualcuno ne esca penalizzato), fino ad arrivare alla stupenda copertina, ad opera di
Eliran Kantor, ricca di citazioni e riferimenti al passato.
Volete che vi indichi il mio brano preferito? Al momento risponderei senza ombra di dubbio “
Skyfall”, e questo di certo non per demerito delle altre tracce, semplicemente perché devo ammettere il mio debole per
Kai Hansen, e dopo aver sofferto per quasi un’ora in attesa di qualche suo segno tangibile, finalmente nel brano finale, di ben 12 minuti, c’è tutto quello di cui è capace: epicità, cambi di atmosfera e di ritmo, assoli memorabili, e finalmente si sente anche la sua voce, oltre che la sua firma. Certo, è un po’ Gamma Ray, ma resta comunque in linea con il resto del disco. Per onore di cronaca, voglio comunque segnalarvene almeno altri 2 o 3: la velocissima “
Robot king”, con una parte centrale al fulmicotone, con
Kai,
Weky e
Sascha che si rincorrono e si intersecano alla grande; la micidiale e ruffianissima opener “
Out for the glory”, una sorta di “
Eagle fly free” del nuovo millennio, la scoppiettante e powerissima “
Rise without chains” o, infine, “
Cyanide”, che ci riporta con le sue sonorità alla fine degli anni ’90, quando il power impazzava!
Non voglio sbilanciarmi ulteriormente analizzando tutti i brani, per due ottimi motivi: primo perché un meticoloso track by track lo potete trovare nell’ottima ed accuratissima
recensione del nostro Hector, e poi perché vorrei che anche voi riusciate a godervelo tutto d’un fiato come è stato per me, senza farvi tentare dai brani singoli che inizierete a trovare in giro per la rete. Ho evitato accuratamente di sentire i singoli proprio per poterlo ascoltare tutto di fila, e devo ammettere che ne è assolutamente valsa la pena.
Così come è valsa la pena aspettare tutti questi anni prima di riavere in mano un album registrato dalla line up storica (pur se allargata) degli
Helloween!
Happy, happy Helloween!!