Per amor di verità, ammetterò di essermi approcciato al nuovo
album degli
A Pale December con uno stato d’animo in bilico tra l’ottimismo (dettato da “
The Shrine of Primal Fire”, notevole
full length d’esordio) ed il timore (perlopiù corroborato da
artwork di copertina e titolo, a mio avviso poco incisivi).
Ebbene, sono lieto di aver tratto da ciò l’ennesima conferma che la sostanza prevale -quasi sempre…- sulla forma: i Nostri bravi erano e bravi son rimasti.
Anzi, mi sento di poter affermare che qualche passo in avanti, nel percorso verso la definitiva maturazione, sia stato compiuto: con “
Death Panacea”, infatti, lo spettro sonoro si amplia, così come aumentano l’ambizione ed il fascino della proposta.
Il
black dal taglio atmosferico e malinconico è ancora presente, ma ad esso vanno ad aggiungersi una pletora di sfumature ulteriori; sfumature che vanno dal
*post (certe dissonanze parlano chiaro) al
cascadian (credo di poter affermare che i
Wolves in the Throne Room costituiscano uno dei principali riferimenti), da un pizzico di
progressive nel
riffing (qua e là ho colto riferimenti agli
Opeth che furono) ad un gusto per la melodia proprio di certi
Katatonia.
I brani, ben lungi dal risultare un’affastellata collezione di influenze, scorrono liberi, fluidi, e palesano un approccio alla composizione basato principalmente su emotività e spontaneità. Il tutto, si badi, mettendo in bella mostra la già nota perizia tecnica ed un tasso di aggressività senz’altro superiore rispetto al passato.
Il tema portante delle
lyrics potrebbe venir descritto come un’ode alla sconfitta, un peana in onore di chi accetta la condizione, priva di luce o speranza, propria di ogni essere umano, un amaro inno alla futilità delle nostre esistenze.
Un
concept molto interessante, che trova perfetta trasposizione nelle scorribande di episodi come la torrenziale “
Simulacrum”, la violenta “
Iconoclasm” o la cangiante “
Of Prophets and Blood”.
Peccato solo per un
mastering timido, per un
mixing che penalizza la sezione ritmica (
drumming in primis) e soprattutto per alcuni passaggi eccessivamente diluiti (penso soprattutto ad “
Atoning Monuments” ed alla conclusiva “
Nethermost”).
Nulla di drammatico, in ogni caso: gli
A Pale December meritano comunque la Vostra attenzione. Dovrete concedergliene una dose non indifferente, dal momento che “
Death Panacea” tutto è tranne che un
platter di immediata assimilazione; credo, però, che ne valga la pena.
Già oggi, a parere di chi scrive, ci troviamo di fronte ad una giovane realtà da tenere sotto stretta osservazione, autrice di uno dei dischi più interessanti di questo primo scorcio d’annata -sinora piuttosto povero di squilli, se mi è concesso-.
Se poi la compagine meneghina saprà consolidare un
sound ancora volatile e riuscirà nell’opera di ripulitura del
songwriting dai passaggi inessenziali, avremo un nuovo punto di riferimento all’interno della scena estrema.
Attendiamo quindi il fatidico spartiacque del terzo
album; nel frattempo, urge un nuovo passaggio di “
Death Panacea” nello stereo…