La Grecia è indubbiamente una delle realtà emergenti più interessanti nel panorama della musica metal, soprattutto in ambito heavy-power, degli ultimi 15-20 anni. Non può difatti passare inosservata l’affermazione di bands del calibro di Crystal Tears, Fragile Vastness, Inner Wish, ma soprattutto dei Firewind di Gus G (addirittura reclutato da “Sua Maestà Ozzy” per sostituire Zakk Wylde alla chitarra), questi ultimi potrebbero essere considerati come la vera e propria stella polare di questo crescente movimento.
I
Diviner, provenienti dalla capitale Atene, non fanno certo eccezione rispetto alle formazioni precedentemente citate, dediti a un sano heavy metal di stampo tradizionale influenzato tanto dall’hard rock oscuro dei Black Sabbath e da quello più epico di RJ Dio, quanto da quella gloriosa ondata ottantiana, meglio conosciuta come “New Wave Of British Heavy Metal” di cui i principali esponenti furono Iron Maiden e Judas Priest, con un sound tuttavia inserito all’interno di una realtà più contemporanea che strizza vistosamente l’occhio anche al thrash ed a tratti al power metal, dando vita ad uno stile che era già ben visibile nell’album d’esordio
Fallen Empires del 2015 ed ulteriormente sviluppato in questo
Realms Of Time. La nuova uscita discografica degli ellenici è indubbiamente convincente e potrebbe essere definita un autentico rullo compressore, con una sezione ritmica incalzante e tiratissima sin dall’iniziale
Against The Grain e chitarre dal sound ora compresso, come in
Cast Down In Fire, ora invece protagoniste di riffs tendenti al thrash (vedasi
Set Me Free con il suo inizio dal vago sapore “Mustainiano”) e di assoli taglienti e sanguinosi (come nell’avvincente
The Earth, The Moon, The Sun).
Menzione particolare per il vocalist
Yannis Papanikolaou, dotato di una timbrica che si ispira chiaramente alla scuola di Ronnie James Dio e ricorda nemmeno troppo lontanamente, quella di Nils Patrik Johansson degli Astral Doors, tanto che la traccia
Time sembra proprio provenire dal song-writing della band svedese. La voce del singer greco emerge in particolare in alcuni brani rocciosi ma melodici come
Heaven Falls il cui refrain, per quanto semplice e ruffiano, lascia il segno, ma al tempo stesso l’approccio vocale di Yannis riesce anche ad essere particolarmente aggressivo quando il sound si inasprisce come in
Beyond The Border o in
King Of Masquerade. In
The Voice From Within che precede la maliconica
Stargate con cui si chiude il disco, emergono prepotentemente tutte le somiglianze con i Firewind (comunque presenti anche nelle precedenti tracce) che, come già detto, possono considerarsi il vero e proprio punto di riferimento per i nuovi gruppi metal greci emergenti, ed è proprio quest’ultimo argomento che meriterebbe un ulteriore approfondimento. I
Diviner sono un’ottima band, preparata, tecnica e “cazzuta” come poche, con tutte le carte in regola per poter avere un futuro roseo ma probabilmente, se paragonati agli esordi del combo capitanato da Gus G e Katsionis, la principale differenza è da ricercare nel cuore e nella passione che questi ultimi ci mettevano nei loro primissimi lavori, rispetto alle giovani bands che sfornano con impressionante regolarità album anche gradevoli, ma per certi aspetti troppo uguali e freddi tra loro, in maniera quasi meccanica. A onor del vero tale situazione, a cui sicuramente ha contribuito l’evoluzione delle nuove tecnologie di distribuzione della musica, causando un generale appiattimento della qualità del prodotto, potrebbe essere estesa ad altre realtà europee, non andrebbe limitata alla sola Grecia, facendo nascere più di un sospetto che, purtroppo il problema in tal senso, sia generazionale e che bands comunque valide, come i nostri
Diviner, siano solo delle vittime di questo sistema.
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