Per un’adeguata panoramica della vicenda
Opeth rimando al libro pseudo-biografico “Le Stagioni della Luna” degli italianissimi Eugenio Crippa e Filippo Pagani, che consiglio vivamente sia ai fan del combo svedese che a chi pensa che il “successo”, se così si può chiamare, sia esclusivamente una questione di fortuna e non di merito o di determinazione. Una verità è che “Blackwater Park” risente pesantemente dell’influenza alla regia di Steven Wilson degli arcinoti Porcupine Tree, “stregato” dall’ascolto del precedente “Still Life” e quindi motivato ad approcciare il mastermind scandinavo Mikael Akerfeldt alle porte del nuovo millennio. Dopo l’incontro tra i due, nella musica degli Opeth, iniziano infatti a comparire cantati puliti (alcuni curati dallo stesso Wilson), tastiere e abbondanti inserti acustici (che da qui in poi diventeranno “trademark” della band) e un certo spiccato gusto melodico molto “british” e poco “nordico” (insomma più Pink Floyd e meno Celtic Frost). Aggiungete a tutto questo l’approdo dall’iconica ma poco redditizia Candelight Records alla Music for Nations (di fatto una branca della Sony) et voilà, il piatto (o meglio il disco) è servito. Le composizioni sono oggettivamente tutte di spessore, dall’introduttiva “The Leper Affinity” (con il suo incipit che ha l’effetto di un violento pugno nello stomaco) alle successive “Bleak” e “The Drapery Falls” (veri e propri cavalli di battaglia dal vivo) passando per le acustiche e più intime “Harvest” e “Patterns In The Ivy”. Nella migliore tradizione opethiana i brani sono praticamente tutti più vicini ai dieci minuti che ai cinque, caratteristica che ai detrattori della band ha dato molto di cui parlare nel corso degli anni: il sound degli Opeth, storicamente, ha sempre avuto bisogno di ampi spazi strumentali (diciamo pure che l’immediatezza non è una caratteristica degli svedesi) e di importanti “range” dinamici per potersi sviluppare. Un disco ben suonato e ben prodotto, tappa obbligata per chi ha cercato (o cerca) di fondere “brutalità” metallica ed elementi acustici/progressivi.
A cura di Gabriele Marangoni
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?