All'indomani della pubblicazione di “Images and words”, capolavoro indiscusso degli americani Dream Theater, il prog metal sembrava essere divenuto il nuovo trend dominante. Allora imperversava il grunge, il power e il classic metal non se la passavano troppo bene; tuttavia quella commistione unica tra le elaborate strutture del progressive rock, e le sfuriate ritmiche e melodiche dell'heavy metal, godeva di una fortuna senza precedenti. Fior di gruppi nacquero e morirono nel giro di un battito di ciglia, il tempo che ci mise questa musica, come tutti i trend del genere, a tornare nel dimenticatoio. Peccato, perché i vari Arkhé, Athena, Shoggoth, Black Jester, Heads or Tales e compagnia bella, erano realtà davvero interessanti, che avrebbero senza dubbio meritato una maggiore esposizione sotto i riflettori.
Per fortuna, nel nostro paese ci sono ancora band capaci e desiderose di emulare i mostri sacri, e i
Daedalus ne sono un ottimo esempio. A ben sei anni di distanza dall'esordio “Leading far from a mistake” e dopo due importanti cambi di formazione come quello del cantante e del chitarrista, la band genovese si ripresenta sulle scena con un lavoro nuovo di zecca, che ha potuto godere anche della produzione di un certo personaggio che risponde al nome di Roland Grapow, e di una nutrita schiera di ospiti, tra cui il vocalist dei Labyrinth Roberto Tiranti (ne approfitto per lanciare un saluto a questi ragazzi, sperando che ci ripensino e decidano di non mollare! Abbiamo bisogno di voi, gente!). Che dire? “The never ending illusion” è proprio un bel lavoro di prog metal, come da tempo non se ne sentivano. Costantemente sospeso tra i Dream Theater di “Awake” e gli Shadow Gallery di “Carved in stone”, il disco suona fresco e potente, ottimamente prodotto, e ci mostra una band dalla assoluta padronanza dei propri mezzi. Certo, magari l'originalità non è proprio un ingrediente che troverete a palate nei solchi di questo cd: gran parte del materiale è fortemente derivativo, sia nelle musiche che nei testi (un concept che affronta diverse dimensioni esistenziali dell'uomo), che tanto, a volte forse troppo, ricordano il Teatro dei sogni. Detto questo, le canzoni sono belle, complesse e virtuose quanto basta per non annoiare, e sufficientemente orecchiabili per colpire chi ha bisogno soprattutto di buone melodie. Qua e là affiora anche qualche bella divagazione jazz, giusto per chiarire che ci sono anche altri lidi a cui guardare.
Complimenti ai Daedalus dunque: in un periodo in cui tutti sembrano scontenti per il nuovo corso artistico di Portnoy e soci, ci regalano un lavoro sopra cui tutti coloro che si concepiscono come ascoltatori seri e poliedrici dovrebbero mettere le orecchie. Per ora la prova è superata. In futuro speriamo però di vedere una ulteriore evoluzione del proprio sound....
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