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Rough Silk sono stati a mio parere uno dei gruppi più interessanti mai partoriti dalla scena heavy metal. La loro commistione tra pop rock da classifica ed heavy classico è stata effettivamente qualcosa di unico, un incontro tra Savatage, Queen e Billy Joel che mi ha entusiasmato sin da quando ero un teenager ed ebbi la fortuna di vederli dal vivo di spalla agli Helloween, nel novembre 1994. Nonostante una serie di lavori di ottima fattura (tra cui vale senza dubbio la pena ricordare “Circle of pain” e “Mephisto”, ma anche il recente “Symphony of life”), non sono mai riusciti ad andare oltre lo status di gruppo di culto, forse proprio per colpa di una proposta troppo eclettica e personale per poter essere apprezzata dai più.
Il loro leader Ferdy Doernberg ha trovato per fortuna modo di rifarsi entrando in pianta stabile nella band di Axel Rudi Pell, con la quale si è tolto un bel po' di soddisfazioni suonando in lungo e in largo per il mondo e registrando un bel po' di dischi di successo.
Il richiamo della sua creatura personale è stato però sempre fortissimo e così, a sei anni dall'ultimo lavoro in studio, ha chiamato attorno a sé un lotto di giovani musicisti (tra i quali si annovera anche l'ex webmaster André Hort) e ha registrato un nuovo disco, il cui titolo “A new beginning” suona proprio come una dichiarazione di intenti.
Peccato solo che il risultato finale non corrisponda alle aspettative. “A new beginning" sembra infatti avere molti problemi: il primo è senza dubbio il cantante. Dal mio personale punto di vista, Jan Barnett era un singer straordinario, tremendamente sottovalutato certo, ma in possesso di una timbrica e di una espressività fuori dal comune. Da quando se ne è andato lui i Rough Silk non sono stati più gli stessi, ma anche Thomas Ludolphy ha saputo dire la sua, seppure fosse dotato di una voce e di uno stile molto meno interessanti. Oggi, la decisione di Ferdy di occuparsi in prima persona di tutte le parti vocali appare alquanto sconsiderata. Tastierista geniale, compositore superlativo, Mr. Doernberg appare invece molto poco a suo agio dietro al microfono. La sua voce non è in grado di reggere una canzone dall'inizio alla fine e risulta fuori luogo sia nelle parti più aggressive che in quelle pulite. Al di là di questo, c'è da dire che anche i pezzi non sono proprio il massimo: la componente rock è quasi del tutto assente, in favore di un approccio molto più heavy, quasi al confine col trash, in uno sfoggio di aggressività che a volte si copre addirittura di ridicolo (la title track e "Deadline" ne sono un ottimo esempio). Ci sono delle buone intuizioni, qualche apertura melodica interessante (“Sierra Madre” su tutte), ma l'impressione di un patchwork di scarti si fa sempre più forte col passare degli ascolti. Ci sono davvero poche idee, pochi guizzi di classe, davvero troppo poco per un act che in passato ci ha dato così tanto in termini qualitativi. Anche i musicisti coinvolti nel progetto sembrano fuori posto, penalizzati anche da una produzione che è sì grezza e genuina, ma anche troppo confusa.
Si salva, in parte, solo il pezzo conclusivo, una struggente ballata per piano e voce dedicata al primo chitarrista della band, Hilmer Staacke, scomparso recentemente a soli 38 anni. Qui per un attimo sembra di respirare ancora l'atmosfera dei vecchi lavori dei Rough Silk, ma purtroppo l'assenza di un vero cantante rovina un brano che altrimenti sarebbe stato più che gradevole
Mi spiace dirlo, ma forse sarebbe stato meglio concludere l'avventura della “seta grezza” all'indomani di “Simphony of life”. Se già “End of infinity” aveva poco da dire, “A new beginning” si guadagna la sufficienza striminzita solo in virtù delle poche idee valide presenti al suo interno, quelle che comunque un songwriter del calibro Ferdy era in dovere di fornire.
Da parte mia, non mi resta che archiviare al più presto questa uscita e sconsigliarvene l'acquisto nella maniera più assoluta. Vale comunque la pena, già che ci siamo, di riscoprire una band di grande valore: se siete dei neofiti, accattatevi la splendida raccolta “Wheels of time”, uscita dieci anni fa, che rimane tuttora la migliore retrospettiva su un gruppo che avrebbe meritato senza dubbio una maggiore considerazione. Peccato solo non poter dire: “Bentornati”...