Fin dagli esordi su Wiija, i
Therapy? si sono distinti per considerevoli doti d’intelligenza e versatilità artistiche.
Genericamente collocabili a metà strada tra il metal e il grunge, i nord-irlandesi hanno saputo al tempo stesso inzupparsi completamente dei rispettivi suoni e “prendere” le distanze un po’ da entrambi i generi, grazie ad una proposta musicale ricca di soluzioni musicali diverse che comprendevano anche riferimenti alla new-wave, richiami ritmici vicini alla musica elettronica, scorie punk, oltre ai devastanti e chirurgici riffs chitarristici, capaci di mettere d’accordo sia i fans dei Metallica, sia quelli degli Helmet.
Su tutto una straordinaria vocazione melodica, accentuata negli anni di maggiore esposizione “commerciale”, ma comunque sempre presente in una capacità di scrittura dove la primitiva durezza e la percezione di tensione e “malessere” non sono mai venute meno, anche se collocate all’interno di una struttura che vede la “forma canzone” come l’assoluta padrona espressiva.
Dischi del calibro di “Nurse”, “Troublegum”, “Infernal love” (e, in misura leggermente minore, pure “Semi-detached”), rimangono nella mia memoria con le sembianze di fulgidi prototipi in armonia tra potenza, accessibilità, rabbia, poesia e concretezza, una splendida voce “fuori del coro”, in un panorama musicale, quello pop / alternative britannico, affollato da eredi più o meno “plausibili” dei Beatles, da “vecchie glorie” o da irriducibili propugnatori dei suoni sintetici.
Ecco perché ero molto ansioso di sottopormi a questo “Crooked timber”, dove i nostri, ormai annoverabili nella categoria dei “veterani”, erano chiamati a dimostrare di non aver perso il loro inconfondibile “tocco” e di avere ancora le doti necessarie per affrontare adeguatamente una scena sempre più costipata, aleatoria e competitiva.
Ebbene, i Therapy? del 2009 (Neil Cooper è l’unica novità rispetto alla line-up storica) forniscono un altro saggio della loro coerenza, e lo fanno attraverso una notevole verve, che rende l’inconfondibile miscela di rumore e melodia una “faccenda” piuttosto godibile e pure sufficientemente fresca, scongiurando, in questo modo, il rischio della “stanca” riproposizione di un consolidato modus operandi.
“Crooked timber” si offre, dunque, a storici sostenitori e potenziali novelli adepti, come un album di rock carico, torvo, accattivante e (tuttora) istintivo, non esattamente allineabile come qualità complessiva ai suoi migliori predecessori appena citati, eppure capace di piazzare svariati colpi di grande effetto (“Enjoy the struggle”, “Clowns galore”, “Exiles”, “I told you I was ill”, “Somnambulist”, la stessa title-track) e in ogni caso di mantenere una più che onorevole efficienza espressiva per tutta la sua durata.
Stabilire, a questo punto, se l’outfit di Belfast potrà riconquistare un ruolo di spicco nel business discografico della musica alternativa, al momento non esattamente sorretto da un florido “stato di salute” (né sotto il profilo “economico” e né dal punto di vista creativo), rappresenta, viste le troppe variabili in gioco, uno di quei misteri degni della famosa “Camera gialla” di Gaston Leroux, e tuttavia mi sembra proprio che questa forma di “terapia”, magari anche senza essere più “d’urto”, continui a funzionare egregiamente.