Quante volte è già stato detto? Innumerevoli. Eppure è bene ribadire il concetto. Suonare hard rock “classico” non è una faccenda che possa in qualche modo ricondursi ad un qualcosa di “scientifico”.
Soprattutto non è così semplice farlo e risultare credibili e autentici, evitando di apparire come l’ennesimo asettico “anagramma” dei grandi nomi del settore.
Insomma, più che la “testa” questi suoni devono essere in grado di colpire la “pancia” e non con forme di “enterite” acuta (da cui nasce probabilmente l’espressione “il disco fa cag … ehm “defecare copiosamente”!), ma con una serie di vibrazioni e pulsazioni benefiche, che in quella particolare zona hanno origine e da lì si propagano con effetti taumaturgici a tutto l’organismo al gran completo.
Non è facile, ovviamente, identificare con precisione gli elementi che caratterizzano risolutamente i “buoni” e li distinguono dai “cattivi” e non si può nemmeno assegnare all’esperienza (anche se spesso aiuta!) un’assoluta valenza aurea in un’analisi in cui, dunque, vanno inevitabilmente tirati in ballo concetti come passione, istinto, vocazione, tutta “roba” ardua da “spiegare” e soprattutto “acquisire”, nel caso in cui non si possedesse.
Tutto questo per dire che i
The Stuff, fondati negli anni ottanta da Giovanni Vernocchi e da Gianni Lorenzini (una “vecchia volpe” del metallo italico che ha suonato con Rex Inferi, Midway e Danger Zone) e completati da Bruno Bertozzi e Davide Giagoni, annoverano in maniera generosa nel loro codice genetico tutti i fattori appena individuati come discriminanti in senso positivo, tanto che “Lesson one”, pur palesemente ispirato dai maestri del rock duro (AC/DC e Nazareth innanzi tutto, e poi Guns e Kiss, per esempio), offre agli ascoltatori appassionati un programma di superiore dignità espressiva, frutto di una personalità (e di una maturità, pure) compositiva viscerale e traente, proprio come richiesto dalle migliori sceneggiature di “genere”.
Efficaci, grintosi, compatti, coinvolgenti nei groove e nelle linee melodiche, nonché sufficientemente “freschi” da essere avvincenti anche nella completa ortodossia della loro proposta, i The Stuff meritano la stessa attenzione che il pubblico sembra riservare a tante “new sensation” straniere operanti nel medesimo ambito di competenza.
Confido (con un pizzico di rammaricato “scetticismo”) in un analogo trattamento e attendo con ansia la Lezione n° 2.
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