Enigmatici fin dal monicker, che me li aveva fatti superficialmente immaginare come dediti ad una forma di viscerale hard-rock, i piemontesi
Ossi Duri sono in realtà una band consacrata ad una miscela assai volubile di prog, (free) jazz e fusion, il tutto sviluppato sulla base di un concept irrorato d’ironia e da un pizzico di “demenzialità”.
Insomma, una sorta di
art-rock ad ampio spettro che guarda alle esperienze delle celebri Mothers Of Invention, o, volendo essere più “pragmatici” e nazionalistici a quella di Elio e le Storie Tese, dove l’aristocrazia delle note e dell’esecuzione si “scontra” con quel rischioso contesto espressivo che nelle migliori interpretazioni si traduce in sagace invettiva e in vitale dissacrazione, mentre in quelle meno efficaci diventa uno sterile esercizio di volgarità.
Fortunatamente i nostri non ricadono nella seconda biasimabile categoria, rimanendo sempre nell’ambito del buon gusto, ma bisogna anche ammettere che non si dimostrano nemmeno particolarmente originali e ingegnosi nella formulazione utilizzata e nel tema che scelgono di trattare (l’allegoria - ahimè anche piuttosto “realistica”, soprattutto nei suoi risvolti legati al “potere mediatico” - di una cittadina, denominata Luogo Comune, in cui un produttore discografico soggioga la volontà della popolazione tramite stupefacenti sciolti nell’acquedotto, diventa sindaco e bandisce la musica suonata in favore di quella computerizzata, fino all’arrivo del cantautore “da strada” Silvano Garrè, che, con la sua chitarra risveglia coscienze ed istinto, e induce alla sedizione, non rappresenta una grandissima novità dal punto di vista narrativo, mentre sono assolutamente concorde con l’esortazione finale del disco … “la musica non ha scadenza”!), così come non appare per nulla irresistibile l’artwork delegato alla seduzione estetica del Cd.
Musicalmente, il discorso è viceversa decisamente più “illuminato”, eccentrico e visionario: strumentisti tecnicamente inattaccabili si esprimono attraverso intelaiature armoniche imprevedibili ed eterogenee, che mantengono un buon livello di gradevolezza anche per i non “iniziati”, senza eccessi di snobismo e parossismo virtuosistico fine a sé stesso, e tuttavia appaiono sicuramente più adatte alle orecchie di chi, ne “l’arte dei suoni”, cerca qualcosa di più di una semplice occasione di istantanea ricreazione.
Gli Ossi Duri e il loro “Scadenza perfetta” incarnano un buon esempio d’avanguardia implementata sulla leggerezza, per cui il mio giudizio non può che essere ampiamente positivo sia per le qualità artistiche e sia per l’audacia dimostrata nell’allinearsi ad uno stile nei confronti del quale il pubblico è normalmente diviso tra ammirazione assoluta e altrettanto perentoria avversione.
Del resto anche il vecchio (e compianto) Frank suscitava analoghi sentimenti e il precedente, per molte ragioni al momento inavvicinabile, mi sembra comunque “abbastanza” confortante.
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