Maurizio Boco è un batterista, ma direi che questa definizione, pur inoppugnabile nel suo significato essenziale, non è del tutto esaustiva e sintomatica.
Diciamo, dunque, che Maurizio Boco è un musicista, anzi, un artista dotato di gran sensibilità (oltre che di un autorevole curriculum professionale … Mimmo Locasciulli, Amii Stewart, Formula Tre, Patty Pravo, colonne sonore per il cinema e la televisione, ricca attività di turnista, …), che ha scelto tamburi, piatti e percussioni varie per esprimere la sua anima e la sua creatività.
Sulla spinta di questa passione e di una fervente ricerca sonora, nasce “Trance circular groove”, il suo primo Cd da solista, ispirato alla ciclicità della vita e della morte.
La ripetizione “circolare” di alcuni groove, sfruttando le potenzialità poliritmiche e politimbriche della batteria, vuole, nelle intenzioni dell’autore, creare nell’ascoltatore uno stato di
trance ed essere la parafrasi delle fasi fondamentali di un’esistenza la cui
fine può diventare, in realtà, una sorta di nuovo
inizio, il tutto espresso attraverso uno dei linguaggi più arcaici e universali, quello del ritmo, nella sua accezione tribale, istintiva e mistica.
Nascono così il valente drum solo “5/4”, e “Trance circular groove” e “Africa”, due lunghe composizioni suddivise in svariati movimenti, che toccano il jazz-rock, il prog, la fusion, la world-music, impreziosite, nel primo caso, da tormentate narrazioni e da ardenti vocalizzi (ad opera della brava Pamela Gargiuto - autrice anche dei testi vagamente Lovecraft-iani, sviluppati su idee dello stesso Boco – e del cantante algerino Moussa), oltre che dalle tastiere volubili di Derek Sherinian e, nel secondo caso, che appare come un vero e proprio omaggio alla civiltà afro-cubana, dal violino elettrico di Giovanni Vigliar, noto per la sua militanza negli Arti e Mestieri.
Estendendo il dovuto plauso a tutti gli altri musicisti presenti, per onestà “intellettuale”, non mi sento di considerare l’ascolto di questo disco come una situazione adatta a tutti i “palati” musicali, ma nemmeno posso affermare, nonostante l’inevitabile preminenza di tale strumento, che si tratta di un prodotto dedicato unicamente ad un pubblico di specialisti della percussione, i quali, in ogni caso, troveranno sicuramente importanti spunti didattici per la loro attività.
Si tratta, alla fine, di un lavoro piuttosto intenso ed avvolgente, di una spirale emotiva assai evocativa e magnetica (per i miei gusti, direi soprattutto gli iridescenti trenta minuti della title-track) d’indubbio interesse per chi non ricerca l’ovvio e il semplice, apprezza i piaceri del rock evoluto e dell’intelligenza nelle emozioni.
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