C’è qualcosa di sinistramente attraente nella musica dei
The Alchemist, un anelito che sembra indirizzato all’evocazione delle forze primordiali che regolano la vita e la morte del nostro universo.
L’esplorazione di nascoste ancestralità o la manifestazione di una cerimonia esoterica e sacrale di suoni sono le prime suggestioni che colgo mentre ascolto “Cyrcle of fire”, con le sue voci doppiate e le sue tastiere sghembe ed estetizzanti e anche se nel Cd le atmosfere musicali cambiano abbastanza repentinamente, passando dalla NWOBHM, all’epic-power sinfonico, all’hard rock, a sfuriate black (con tanto di growl), a digressioni melanchonic-prog-ambient, a volubili incursioni electro-gothic, il leit-motiv (se così vogliamo chiamarlo) del disco appare proprio quest’intrigante propensione
oscura e
arcana.
Un denominatore comune non facilissimo da individuare in quello che non vuole essere un prodotto omogeneo e si prefigge di rappresentare, nelle intenzioni dei suoi autori, un campionario d’approcci stilistici diversi e di una sperimentazione che ha lo scopo di reperire persone disposte a collaborare per la distribuzione e/o per future produzioni.
Diciamo subito che, nonostante le premesse, personalmente non condivido molto questo tipo di orientamento piuttosto composito e dispersivo, in grado magari di rendere “Experiments Vol. I” effettivamente uno showcase delle varie potenzialità del duo in questione, ma anche di sottolineare un’insicurezza nel percorso artistico da seguire non esattamente edificante per chi decide di fare musica con personalità.
Aggiungete la dimensione fortemente “casalinga” del dischetto, per quanto riguarda registrazione, missaggio e produzione, parti vocali in qualche modo affascinanti ma migliorabili sotto il profilo squisitamente tecnico, una povertà negli arrangiamenti e l’uso intensivo della drum machine, legittimi vista l’esiguità del personale esecutivo e il tipo di prodotto, e tuttavia di sicuro non proprio un contributo alla causa in fatto di spontaneità, coerenza e compattezza sonora, ed otterrete un lavoro interessante sotto parecchi punti di vista, ma assolutamente acerbo, anche volendo tener conto della sua natura di “vetrina dimostrativa” della versatilità artistica dei The Alchemist.
Le idee ci sono (forse addirittura troppe!), la duttilità è una qualità lodevole e il tocco “occulto” è meritevole di approfondimenti, però forse bisognerà fare un po’ di chiarezza nelle proprie intuizioni ed intenzioni, consolidare il tutto preferibilmente con l’aiuto di quegli ambiti coadiutori, nella speranza che possano concorrere efficacemente ad indirizzare questo flusso espressivo vibrante e caotico.
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