Copertina 5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2009
Durata:52 min.
Etichetta:Steamhammer
Distribuzione:SPV

Tracklist

  1. STARTING OVER
  2. BELIEVE
  3. THE COVER UP
  4. PICK YOURSELF UP
  5. IT IS ME
  6. NO GOOD GOODBYES
  7. THE WORLD IS BLIND
  8. TO LIVE AGAIN
  9. THE LIGHT
  10. PLAY MY GAME
  11. DEATH RACE
  12. THE SHADOWS ARE ALIVE

Line up

  • Vocals: Tim "Ripper" Owens
  • Bass: Rudy Sarzo, James Lomenzo, Dennis Hayes, Billy Sheehan, David Ellefson, Marco Mendoza
  • Guitars: Bob Kulick, John Comprix, Craig Goldy, Jeff Loomis, Mike Callahan, Steve Stevens, Carlos Cavazo, Doug Aldrich, Michael Wilton, Neil Zaza, Chris Caffery
  • Drums: Simon Wright, Brett Chassen, Ray Luzier, Bobby Jarzombeck , Vinnie Appice

Voto medio utenti

Tim Owens è uno di quei personaggi che, nella mia pesonale lista, definisco "sfigati". Dotato di una voce eccezionale, ha la fortuna di passare da dilettante a super professionista venendo ingaggiato nientemeno che dai Judas Priest, sua band di culto, per sostituire la leggenda Rob Halford, salvo poi essere malamente cacciato al ritorno del "figliol" prodigo. Stessa identica sorte il buon Tim subirà negli Iced Earth, trovandosi a sostituire il monolitico Matt Barlow, e vedendosi di nuovo sbattuto fuori al rientro di quest'ultimo. E così, dopo le ultime performance come vocalist per Yngwie Malmsteen (e non lo invidio!), Tim riesce a metter su 12 brani da lui composti, e a radunare in studio uno stuolo di musicisti davvero di primissimo ordine (guardate nei credits), ed il tutto prende forma, diventando la sua prima fatica solista.
"Play my Game", diciamolo subito, è un album fiacco. E quando scrivo "fiacco" intendo che a mancare altro non è che la fase compositiva: le canzoni, per quanto potenti, metallose e ben suonate e prodotte, mancano di verve, di originalità e di una qualsivoglia parvenza di riconoscibilità, difetto che le porta, dopo pochi ascolti, ad assomigliarsi in maniera preoccupante l'una con l'altra. I dodici brani, infatti, navigano tutti (o quasi) su dei mid-tempos chitarrosi e ben pompati, ma dove le linee vocali o armoniche degli stessi risultano fragili e poco ben costruite. Ed è un peccato, visto che la prestazione di Tim (e dell'harem di musicisti al seguito) è davvero encomiabile: ho sempre amato la voce di quest'uomo, seppure non la potrei definire originale o riconoscibilissima, ma qui il problema risiede in "cosa", piuttosto che in "come" canta: mi piace citare "The Cover Up", dove l'ugola di Owens dà sfoggio dei suoi acuti "halfordiani", o la (ovviamente) priestiana "Death Race", veloce e convincente. Ma, in sostanza, rimane l'idea di un disco che pecca di scarso tiro, e che rischia seriamente di venir troppo presto inghiottito nelle sabbie del tempo. Peccato, davvero peccato per Tim, ma stavolta lo "squartatore" necessita di un'affilatina ai suoi rasoi.
Recensione a cura di Pippo ′Sbranf′ Marino

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