Non c’è molto da dire su un disco come “The Etruscan prophecy”, seconda testimonianza discografica dei toscani
Dark Quarterer.
Lo consideravo un capolavoro all’epoca della sua uscita (1989, etichetta Cobra, distribuzione Cipo Cipo!) e lo ritengo ancora tale a distanza di vent’anni.
Anzi, direi che oggi mi sento di affermare questa cosa con maggiore risolutezza e confidenza, dal momento che non credo di rischiare “più” di essere influenzato dall’entusiasmo “giovanile” e che nonostante una certa “maturità” (costruita su migliaia di albums, appartenenti a generi piuttosto diversi … vado molto fiero della mia collezione!) e i molteplici innamoramenti musicali, continuo a ritrovare intatte nei suoi solchi, ora digitali, tutte le prerogative che me lo avevano fatto definire, fin da subito, con parole così “impegnative”, anche dopo i “dirompenti” effetti che l’incredibile carica evocativa dell’omonima opera prima del trio di Piombino (uscita due anni prima) era stata in grado di procurarmi in modo pressoché
irrimediabile.
Il mistero, la forza d’urto, la fierezza, il misticismo, la fantasia e l’eleganza della “Profezia Etrusca” appaiono davvero inalterabili, con quella magia ineluttabilmente avvertibile durante la sua fruizione che la deve aver
tangibilmente protetta dal trascorrere del tempo, dalla caducità dalle mode, dalla meschinità del mondo mortale e dalle traversie del vivere quotidiano.
In modo
vagamente più pragmatico, potremo dire che quando tre musicisti d’enorme talento, grande cultura e affine background musicale (l’hard prog rock dei seventies e l’epic metal degli eighties, tra May Blitz, Black Sabbath, Uriah Heep, Black Widow, Judas Priest e Manowar), riescono a trovare una perfetta sintonia d’ispirazione e di tecnica, e danno libero sfogo a quest’accecante alchimia con straordinario carisma personale, quasi
inevitabilmente il risultato sarà una collezione d’emozionanti momenti musicali, pregni di quella passione, di quel fascino e di quell’inventiva capaci di sollecitare la parte più viscerale, sensibile e primordiale dell’animo dell’ascoltatore appassionato, il quale si scorderà immediatamente delle eventuali tendenze del momento, riconoscendo istintivamente le specificità imperiture dell’arte autentica.
Ecco perché questi pezzi, usciti nuovamente dalla loro “cripta” (era già successo in una ristampa del 2002, su etichetta Metal Legions / Akarma, anch’essa già comprendente “Queen of the sewer”, non inclusa nella prima stampa dell’ellepi) ed arricchiti da interessanti bonus (la lunga trasposizione dal vivo di “Retributioner”, registrata recentemente all’Elvis Fan di Livorno e il video di “Gates of hell”, targato 1985 e ripreso in forma di “casalinghe” live sessions), con la loro pregiata varietà di fuliggine, con l’impetuosa enfasi drammatica, con le scorie blues e con quella voce potente, solenne ed evocativa che funge da cicerone in titanici meandri armonici contrassegnati da un raro equilibrio, continuano a toccare nel profondo, ad esplorare sensazioni che non possono essere arginate da confini temporali e valgono in maniera illimitata e tirannica.
Poco da dire e molto da ascoltare, dunque, per i nostri Dark Quarterer, tra splendide riedizioni come questa (curatissima anche a livello di booklet, con testi, foto, prefazione a firma dell’autorevole Gianni Della Cioppa e il recupero di tutti i credits della versione originale, esclusi i “No thanks” a Mark Putterford di Kerrang!) e una carriera che non cessa di regalare spettacolari soddisfazioni cardio-uditive (ricordando il meraviglioso “Symbols” e pure gli Etrusgrave di Fulberto Serena, che abbandonò il gruppo proprio dopo di questo “The Etruscan prophecy”), confidando in un futuro artistico lungo e gratificante almeno quanto la clamorosa qualità della musica proposta.