Dalle loro radio di Antwerp, in Belgio, questi Heartaches - formatisi nel 1999 per iniziativa di Bram, chitarra; Joe Dinamite, batteria; Joey England, basso; Sam, voce e chitarra; Leroy, voce - devono aver ascoltato molto i Social Distortion. Fino al punto di convincersi di poterne seguire l'esempio. Ma non è semplice, ragazzi; nient'affatto. La prima cosa che colpisce l'ascolto della storica band americana è l'approccio melodico, ma semplice e struggente al contempo, ad una musica sostanzialmente tradizionale, pur se investita dell'urgenza punk. E il cuore dove lo mettiamo? Il gruppo di Michael Ness lo bagnava di bourbon e lo faceva vibrare malinconico tra gli accordi di un rock 'n roll pregno di umori hillbilly e di atmosfere country decadenti ma drammatiche, nel tentativo - certamente riuscito - di trovare una catarsi nel furore dell'elettricità usata al suo estremo. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti costruiti dai Distortion, ma non sempre essa è stata fresca e pulita. In definitiva, gli Heartaches hanno peccato di presunzione, ritenendo che fosse facile fare propria la lezione di Ness e compagni, ma hanno sbagliato i conti con la creatività. Perché le lezioni sono importanti e vanno seguite, ma l'elemento rielaborativo e personale è proprio soltanto di chi riesce a mettere le proprie passioni al servizio del talento. Sinceramente, non mi sembra il caso di questi belgi, che probabilmente riusciranno anche a vendere il loro disco agli skaters adolescenti dell'ultima ora, pronti a farsi abbagliare da facili emozioni ed a portarle all'estremo sentire. Ebbene, si accomodino pure. Ma gli adolescenti, com'è nella natura delle cose, cresceranno e questo disco, insieme a molti altri della medesima portata, finirà nel dimenticatoio. Io che adolescente non sono più da un pezzo, conto di dimenticarmene tra un quarto d'ora, minuto più, minuto meno.
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