Aumentano lunghezza, pesantezza, “cattiveria”, varietà e pure la complessità dei loro pezzi, i
Vindictiv di questo “Ground zero”, seconda prova sulla lunga distanza dopo l’esordio autointitolato dell’anno scorso.
Rispetto a quel disco, francamente abbastanza anonimo, il nuovo parto discografico del gruppo capitanato dal vocalist extraordinaire Goran Edman e dai virtuosi Stefan Lindholm e Pontus Larsson appare maggiormente orientato al prog-metal, pur senza perdere le sue prerogative melodiche e le velleità neoclassiche figlie della migliore tradizione scandinava, rendendosi maggiormente appetibile soprattutto in virtù di una migliore qualità delle canzoni, oggi sicuramente più articolate e “difficili” che in passato, ma allo stesso tempo anche assolutamente meno inerti e scontate.
Permane pressoché intatta l’impressione di avere a che fare più con una coalizione di ottime individualità, in cui tutti “sgomitano” per mostrare la loro indiscutibile bravura, che non con una
band vera e propria, pronta a sacrificare le proprie smanie egocentriche sull’altare della
causa superiore dell’arte musicale intesa non solo come pura ostentazione tecnica, eppure, nonostante le immancabili “tenzoni” tra chitarre e tastiere, alla lunga fin troppo oleografiche e un po’ stucchevoli, l’act svedese sfoggia un’accresciuta maturità nella coniugazione simultanea di perizia, potenza, estro e melodia, alimentate da una superiore ambizione nel rendere le composizioni momenti sensoriali dinamici e solidamente espressivi, sostenendo l’idea che non sempre la semplicità è sinonimo di spontaneità e piacevolezza.
In questo generoso vocabolario sonoro, che combina il frasario di Dream Theater, Royal Hunt, Rising Force, Glory, Lion’s Share e Rainbow, è ancora una volta l’ugola pastosa e siderale di Edman a svolgere un ruolo di primaria importanza, incurante del diluvio di (preziose) note che lo circonda e del confronto con i pur eccellenti Oliver Hartmann (At Vance) e Mark Boals (Yngwie Malmsteen, Ring of Fire, …) che valorizzano da par loro i poderosi chiaroscuri di “Reach out”, “I’m back home” e “The sacrifice” (il primo) e i picchi enfatici di “Venom” (il secondo).
E’ il buon Goran ad illuminare la title-track, il mio brano preferito del programma, dominando con la forza di un timbro incredibilmente duttile ed emozionante una linea armonica che avvolge, avvince e seduce senza possibilità di scampo, è ancora lui a contribuire fattivamente alla riuscita di “Golden gate”, “Tweedledum & tweedlede”, “Martha’s song” e “No matter what” (gradevole la coda medievaleggiante), esempi davvero brillanti di una consistente alchimia tra fantasia, intensità emotiva e aristocrazia strumentale.
Per quanto mi riguarda, “Ground zero” non è ancora da considerare come un prodotto dal valore assoluto, poiché in esso sopravvivono piccole verbosità, non sempre è rilevabile un’adeguata omogeneità e perché mi piacerebbe “percepire” nei Vindictiv la “completa naturalezza” di un autentico collettivo, ma la strada intrapresa è sicuramente quella giusta, con la meta raggiungibile senza eccessivi sforzi e sono altresì certo che gli amanti del metal progressive, della melodia e della classe di livello superiore troveranno fin da ora motivi di notevole soddisfazione tra i solchi digitali di un albo che merita considerazione.
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